John Grant

Queen Of Denmark

2010 (Bella Union)
songwriter, rock

Storia come tante nel mondo del rock, quella degli Czars: partiti giovanissimi da Denver in cerca di successo e riconoscimento, nonostante un discreto seguito di culto e il convinto supporto di Simon Raymonde della Bella Union, i quattro americani non sono mai riusciti a compiere quel salto di qualità necessario a lasciare il segno. E così, tra dissidi, litigi, problemi di ego e gli inevitabili abusi di sostanze stupefacenti ed alcool, la band è sparita nel nulla, lasciando una manciata di buoni album e qualche canzone di assoluta bellezza.
Chiunque abbia avuto la ventura di ascoltare almeno un brano degli Czars, comunque, non ha potuto far a meno di notare la straordinaria e inconfondibile voce, calda, profonda e commovente, del loro leader e cantante John Grant.

Dopo il definitivo scioglimento della band, John si è trasferito a New York e, nella speranza di esorcizzare i propri demoni e di non gettare al vento quanto di buono aveva costruito, ha suonato in giro per gli States, di supporto a grandi nomi del rock alternativo, quali i Flaming Lips e i Midlake. Proprio i texani Midlake, letteralmente incantati dai brani che Grant presentava dal vivo, hanno deciso che sarebbe stato un vero crimine se John e le sue nuove canzoni fossero rimasti sconosciuti a un pubblico più vasto. Così, per contribuire fattivamente alla "redenzione" (quanto meno musicale) del talentuoso cantante e musicista del Colorado, la band ha portato Grant a Denton e questi, nelle pause della lavorazione dell'ultimo album dei Midlake, ha avuto la grande opportunità di incidere il proprio esordio solista, con la coproduzione di Paul Alexander e Eric Pulido, rispettivamente bassista e chitarrista della band texana.
Registrato in due mesi e suonato da tutta la band di Austin, "Queen Of Denmark" è il risultato di questo sforzo congiunto e sembra davvero essere l'album che John Grant era nato per incidere. Emozionante e sfrontato, cinico e doloroso, l'esordio del musicista di Denver racchiude in sé tutto il talento e la poetica che John ha sempre dimostrato di padroneggiare, senza però mai riuscire, prima d'ora, a esprimere compiutamente. Se tutti gli album degli Czars, infatti, anche quelli più riusciti, erano pletorici ed eccessivamente statici nella loro proposta musicale, per il suo primo tentativo da solista Grant evita il trabocchetto di puntare tutto sulla ballata, genere che più si confà al profondo timbro della sua voce, e a canzoni malinconiche e accorate alterna brani più solari e vivaci, a creare proprio quell'equilibrio che, in precedenza, era mancato ai lavori della band di origine.

Va detto che la voce di Grant, il cui timbro baritonale caldo e profondo si arricchisce qui di sfumature e acquisisce una pulizia cristallina, è indubbiamente ancora l'elemento portante dell'intero album. Non è quindi un caso se l'apertura è consegnata ai numeri che riescono meglio a John: tre slow da brividi, a partire dall'intenso e malinconico folk rock di "TC And Honeybear", dove la sua voce si intreccia con quella di un soprano, per proseguire con "I Wanna Go To Marz", brano già rodatissimo dal vivo, che acquista nella dimensione di studio una profondità e un'intensità inusitate, e per terminare con quella che è probabilmente la più bella canzone dell'intero lavoro, "Where Dreams Go To Die", una ballata dal sapore seventies che riesce a essere appassionante e drammatica, senza essere affatto stucchevole o kitsch.
Uno dei maggiori pregi di "Queen Of Denmark", tuttavia, ciò che lo rende straordinariamente godibile e coeso, è la capacità che Grant mostra di saper cambiare più volte registro: nascono così brani come "Sigurney Weaver" o "Chicken Bone" distinti da ritmiche più sostenute e dal sarcasmo che, prepotente, traspare nei testi e nell'interpretazione vocale ("...And I feel just like Sigourney Weaver, when she had to kill those aliens...", "I wanted to change the world, but I could not even change my underwear...") e si passa nel breve volgere di un brano dal rag time di "Silver Platter Club", con tanto di accompagnamento di fiati, a canzoni che non avrebbero stonato in una radio FM degli anni settanta ("Outer Space").

Grant ed i Midlake riservano a ognuno dei brani contenuti in "Queen Of Denmark" le stesse cure e attenzioni che un padre finalmente benestante dedicherebbe a quei figli amati tenuti troppo a lungo in ristrettezze. E così gli abiti di cui tutte le canzoni vengono rivestite sono sfarzosi, eleganti, cuciti con perizia e nessun dettaglio è trascurato: un incantevole piano, che in brani come "Caramel" o nella elegiaca title track punta diritto al cuore (e il fantasma del miglior Elton John è dietro l'angolo), il flauto del frontman dei Midlake, Tim Smith, a punteggiare i passaggi più sognanti, i synth vintage a là ELO che conferiscono a tutto il lavoro, insieme al riverbero delle voci e alla loro continua sovrapposizione, un mood manifestamente anni settanta, come nella sostenuta "Sigourney Weaver" o nella sensuale e malinconica "It's Easier",  fino ad un dolce e delicato violino che spesso addolcisce e riscalda l'atmosfera, come accade nella voluttuosa "Leopard and Lamb", o nella già citata "Where Dreams Go To Die", dove il country di Patsy Cline (uno degli idoli di infanzia di John) sposa Peter Hammill.

Le canzoni di "Queen Of Denmark" parlano del disagio di essere un giovane omosessuale in uno sperduto paese della provincia americana , circondato da bigotti e osteggiato dalla famiglia di origine
("I've felt uncomfortable since the day that I was born..." canta Grant nel brano esplicitamente titolato "JC Hates Faggots"), del desiderio di essere qualcun altro, di incontri d'amore e incontri di sesso casuale, di paradisi artificiali e sogni fanciulleschi. E ognuno di questi argomenti è affrontato con sarcasmo, grazia, rabbia, sventatezza, lasciando alle spalle ogni ipocrisia e volutamente ignorando il rischio che tali tematiche (e il frequente turpiloquio) possano dare origine a una qualche censura.

Facile sarebbe stato per Grant cadere nel cliché, costruire un album intero su languide ballate strappalacrime e sfruttare quale esclusivo fil rouge la discesa agli inferi che ha caratterizzato la sua vita negli ultimi anni. Ma, fortunatamente, l'artista americano rifugge dai triti stilemi del genere e riesce a regalare un lavoro sincero e appassionato, dove non c'è spazio alcuno per l'autocommiserazione e per la disperazione. Un album, "Queen Of Denmark", che sembra più vicino alla redenzione che alla definitiva caduta.

29/03/2010

Tracklist

  1. TC And Honeybear
  2. I Wanna Go To Marz
  3. Where Dreams Go To Die
  4. Sigourney Weaver
  5. Chicken Bones
  6. Silver Platter Club
  7. It's Easier
  8. Outer Space
  9. JC Hates Faggots
  10. Caramel
  11. Leopard And Lamb
  12. Queen of Denmark

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