Nello scartabellare tra i proclami associati a questa uscita si comprende di essere di fronte a un progetto mastodontico, un pachiderma che sta lentamente prendendo l'abbrivio, sperando di riuscire nella sua corsa inesorabile a travolgere il maggior numero di steccati e piantarsi dritto nella coscienza collettiva. The River Empires è infatti il progetto sia musicale che cinematografico di Jessy Ribordy: questo disco d'esordio rappresenta la colonna sonora dell'epilogo di una parallela (ma ancora da realizzare) trilogia per il grande schermo. In sette dischi si comporrà, in senso inverso rispetto allo sviluppo della pellicola, l'immaginario sonoro della storia di "due bambini che vedono la propria vita stravolta da un messaggio in bottiglia" - con queste sole parole Jessy descrive l'epopea da lui concepita (si realizzerà mai?).
Intanto ci troviamo davanti il colosso, una stele di ventinove tracce da decifrare: già nell'estensione si comprende il non velato riferimento alle opere sfaccettate di Sufjan Stevens. Tanto per cominciare, l'impronta religiosa è piuttosto forte anche in quest'ultimo progetto di Ribordy, già attivo e conosciuto nell'ambito del famigerato Christian Rock con la band Falling Up. Qui è evidente l'adeguamento alle tendenze attuali, in un disco quasi del tutto acustico di ballate ora ruspanti ora fluttuanti su aperture orchestrali - sebbene la componente ambientale, cinematica rimanga tutto sommato in secondo piano.
Ribordy non riesce però a infondere la necessaria personalità ai suoi pezzi, tanto che rimane difficile, pur in un disco costruito come colonna sonora, ricostruire l'immaginario filmico a cui dovrebbe sottintendere. Country-rock raffazzonati ("A Toast To The Snake King") si avvitano in blandi sortilegi pianistici; spezzoni di recitazione in italiano ("The First Message") introducono lontani stornelli bluegrass; pennate imberbi mostrano impietosamente vecchi vizi ("A Dimmer Lux", "From Outside The Cellar"). Si perde infine la bussola a forza di insistere su innocue, parodiche schitarrate paesane ("Theon, The Fox", "The Curse Of Maybel Cains", "Witches Blossom").
Cosa sembrerebbe di vedere, a sentire questo epilogo? Al massimo un film Disney per adolescenti.
Eppure, a volte, il gruppo mostra profondità insospettate, come nel prog acustico di "The Harbourland", rinfrescandoci la memoria sul recente debutto degli Other Lives. Sono piccoli lampi però, scintille che lasciano intendere ben poca verve creativa.
Nell'attesa di sapere che tipo di storia ci sia nascosta in questo progetto di lungo respiro, l'atmosfera à-la John Williams dei temi del disco lascia ben più di un indizio.
Nota: è possibile vedere qui il "trailer" ufficiale del disco.
08/07/2010