Terzo album per l'americano Liam Singer, “Dislocatia” arriva a ben quattro anni dal precedente “Our Secrets Lies Beneath The Creek” e a sette dal debutto “The Empty Heart Of The Chamaleon” ,continuando la ricerca del cantautore per una commistione di chamber-pop, minimalismo e musica classica.
Giocato spesso sull'uso del contrasto tra la voce di Singer e una vocalità femminile acuta, “Dislocatia” vive la sua prima metà fra gli intermezzi strumentali con protagonista principale il pianoforte (le folate autunnali di “On Earth...”, i giochi di frasi di “Mold Me Torn Fan”, il minimalismo di “Dislocatia/Mouthmoss”) e celestiali
popsong che possono ricordare il
Lekman di
Kortedala (“The Brief Encounter”) o filastrocche antiche di folk d'Albione (“Leave The World...”, “Winter Weeds”), quasi sempre impreziosite dall'apporto della splendida voce di Wendy Allen dei
Boxharp.
Spezzano il ritmo la bizzarra frenesia con momenti
free di “Morton Feldman” e una “Dead Old Friends” che potrebbe essere di una Bonzo Dog Doo Dah Band più seriosa, ma sono momenti pressocché isolati e fuorvianti.
La dimensione ideale di Singer è quella che si trova nelle atmosfere ambient di piano, archi e pizzicate corde di “Victory Steps” e nel minimalismo classico di “Erat Hora”, nel
songwriting autunnale di “Bellingham...” e nell'etereo lirismo vocale di “Into Tendril And Wine” o in quella perla che è “Words Make The Master”, folk-pop di fughe angeliche, insieme terreno e spirituale, chiuso da un meraviglioso e palpitante finale.
"Dislocatia” è un disco calibrato, nel quale il chamber-pop con influenze classiche e minimaliste di Singer è sempre dosato con equilibrio, senza mai soffrire di ridondanza o suonare troppo antiquato, e, sia per abilità compositiva sia per la particolarità della proposta, s'impone come uno dei dischi più affascinanti e interessanti di questo 2010.