Ichiko Aoba

Origami

2011 (Shinonome)
alt-folk, songwriter

La nobile e raffinata arte dell'origami, oltre che a fornire il titolo al secondo lavoro della giovane cantautrice giapponese Ichiko Aoba, potrebbe quasi rappresentare una valida metafora del suo modus operandi come musicista. Come da un semplice foglio di carta, se piegato in maniera accorta, si riesce a ottenere le più disparate forme, così l'artista, armata solo della sua chitarra e del suo talento compositivo, rielabora una materia di base scarna, quasi minimale, per ottenere canzoni sfaccettate e vibranti, anche dalla notevole complessità armonica.

 

Le mire artistiche della misteriosa ventunenne (giunta lo scorso anno dal nulla all'esordio discografico, per un'oscura etichetta indipendente) rifuggono tuttavia da pressoché ogni paragone con la millenaria tradizione musicale del Sol Levante, fatta eccezione per la naturale adozione della sua lingua madre, e per la particolare scansione del cantato che tale decisione comporta. Al contrario, lo stile scelto è più facilmente ascrivibile a tutto quel filone di riscoperta e rimaneggiamento di un folk arcano e "primigeno", sul solco del quale si sono essenzialmente mossi interpreti di provenienza anglosassone, dai quali la nostra trae tutti gli spunti necessari per formulare la sua peculiare proposta. Le idee messe in tavola mostrano infatti un'artista cosciente e ricca di personalità, abile nel saper manovrare diverse tessiture melodiche, e nell'adattarle ad intelaiature sonore raffinate, mutevoli, sfuggenti.

 

A dire il vero, a un primo distratto approccio con l'album, appare, se non tortuoso, quanto meno poco agevole riscontrare l'eterogeneità di soluzioni di cui sopra, complice anche l'austerità degli arrangiamenti, esclusivo appannaggio della chitarra della Aoba. È con ripetuti tentativi che si colgono infatti le diverse sfaccettature di un mondo intimo, sospeso tra ninne nanne appena sussurrate e seducenti malizie folk, nel quale si entra in punta di piedi, quasi per timore di guastarne il delicato equilibrio. Dai lievi sentori di bossa nova presenti nella breve intro-track "Shoujo to ori", alla più spensierata vivacità di un giocoso bozzetto come "Tsuyoku naru", piuttosto che alle ammalianti serenate a nome "Patchwork" e "Rest no mukou", il disco non conosce cali di tensione, senz'altro controproducenti in ragione della sua lunghezza. Piuttosto, le canzoni non smettono di dare risalto alla fervida creatività della ragazza, che non accenna mai a scadere negli abusatissimi cliché espressivi di buona parte del cantautorato intimista attuale (nipponico e non), delineando invece un percorso narrativo totalmente individuale, che proprio nella vellutata interiorità dei racconti individua il suo netto punto di stacco da confronti di ogni tipo.

 

A fare la differenza nelle sue composizioni, rispetto a tante altre sue colleghe, entrano in gioco ambedue gli elementi della sua musica, che rispetto all'esordio dell'anno scorso, il saltellante "Kamisori otome", si affinano in una scrittura più matura e consapevole, dando adito a risultati spesso e volentieri inaspettati. La chitarra, suonata con notevole eleganza ed estrema padronanza, sfodera sensuali accenti latini, degni della migliore Lisa Ono o del più recente Mark Kozelek, ma contemporaneamente esibisce un fingerpicking sapiente e fantasioso (talvolta anche all'interno dello stesso pezzo, ad esempio nella poderosa "Hidokei"), ammiccante all'incendiaria parabola dei grandi primitivisti americani, senza però sfociare in parentesi avanguardistiche, che niente avrebbero avuto a che vedere con la cifra stilistica della sua musica.

 

A fungere da contraltare a tanto dinamismo nel lato strumentale, il versante canoro rimane invece pressoché immutato e inflessibile lungo tutto il corso dell'album: Ichiko, piuttosto che abbandonarsi al magnetico flusso tracciato dagli accordi, fa sì che siano questi ultimi a seguire le sue ferme e maestose interpretazioni, che sfilano una dopo l'altra con una grazia antica, quasi senza tempo. Lasciando da parte una certa pluralità di registri che si poteva respirare nella sua opera prima, a predominare qui è un canto flautato dai tratti talvolta liturgici, come se attraverso i suoi brani la musicista volesse inneggiare alla spiritualità insita in ogni gesto, alla delicata bellezza che circonda un'interiorità sì pacata, ma tutt'altro che raccolta su se stessa. E così, il taglio ieratico e deciso del cantato declina mantra di seducente incanto, sempre ben lontani dall'appiattire le trame chitarristiche, dall'incontro/scontro con le quali si origina invece tutta la fascinosa gamma di colori e sensazioni, che nella sopracitata "Hidokei" raggiunge il suo apice emozionale e interpretativo.

Proprio come una meridiana (da cui anche il titolo del pezzo), che ripercorre quotidianamente lo stesso eterno ciclo, nella medesima maniera la canzone ripete in continuazione la "trascinante" struttura ritmica dell'attacco, aggiungendovi di volta in volta elementi nuovi (le strofe agrodolci dell'inizio lasciano lo spazio a un intermezzo strumentale suonato con una spiazzante aggressività, che confluisce, infine, in una coda più serena e distesa), coi quali costruire un amalgama sonoro dai vaghi tratti psichedelici, che ben inserendosi nell'atmosfera mistica di un disco, potrebbe costituire un buon trampolino di lancio per il prosieguo della carriera della cantautrice.

 

Nonostante l'adozione di uno stile, quale quello del folk più essenziale e disadorno, a cui è difficile, se non addirittura impossibile, apportare chissà quali cambiamenti, la Aoba riesce nell'impresa di proporre, per la seconda volta consecutiva, una manciata di deliziose elegie, che nei ventun minuti e rotti di durata del lavoro, riconfermano la giovane songwriter come la più papabile candidata a next big thing del cantautorato del Sol Levante. Vista la crisi creativa che quest'ultimo sta attraversando da un po' di anni a questa parte, la cristallina personalità di un'artista, dotata di una così potente ispirazione e di una scrittura che nel settore è oramai merce rara, potrebbe dare adito ad appetitosi scenari nel prossimo futuro, e (si spera) in un formato anche più esteso. Per ora, godersi l'album è quanto di meglio si possa fare.

18/10/2011

Tracklist

1. Shoujo to ori
2. Haiiro no hi
3. Patchwork
4. Rest no mukou
5. Tsuyoku naru
6. Omoide cafè
7. Hidokei
8. Himotoku kaze

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