Hyper-nomadi del suono, i Jazzsteppa sono abilmente circondati da un'aura di mistero e le loro incursioni nei club londinesi sono avvolte da leggende che amplificano il loro appeal.
Un'ampia discografia che comprende vari Ep e due album ricchi di elaborato dubstep, che oltraggia gli schemi dell'elettronica con un uso smoderato di strumenti acustici.
Geniali navigatori di stili e contaminazioni, i Jazzsteppa si collocano tra le innovazioni di Burial e il live-dubstep. Ritmiche che non disdegnano il jazz, intrusioni jungle, elettronica che sposa registrazioni live di batteria e fiati.
Venti tracce a volte brevissime, capaci di tenere sempre desto l'ascolto ma raramente capaci di autonomia fuori dal contesto furioso e travolgente che sorregge il tutto.
Più simile a un happening che a un vero e proprio album, "Hyper-Nomads" sembra fallire lì dove sembra esserci il suo punto di forza, ovvero nell'eccessiva varietà.
La tensione ritmica di "Holding Ground", il jazz anni 50 di "Rusty Trombone", il soul di "Sweet Tooth", il mix di sound mediterraneo e dub di "Do U Lov_ Me" e il reggae di "Stronger" sono elementi trascinanti che si incuneano tra le maglie del suono con soluzioni vincenti.
Ma non si evidenzia una progettualità che dia organicità alle varie anime sonore e molte intuizioni restano in attesa di sviluppo.
"Hyper-Nomads" resta comunque un progetto seminale, dove il duo sperimenta nuove strade per rinnovare la club-music senza perdere il flusso emotivo centrale. Una scrittura più forte avrebbe garantito l'emancipazione da cult-status a punto di riferimento per l'evoluzione del genere.
In definitiva c'è abbastanza di cui godere in queste venti tracce, e le perplessità sembrano comunque pronte a diradarsi al prossimo step.
13/03/2012