Il quarto disco dei Kills è stato atteso in maniera meno spasmodica rispetto a quanto avventuto col terzo, allorquando il duo anglo-americano era reduce dall'ubriacatura conseguente al successo di "No Wow". "Midnight Boom" fu tanto sospirato dai fan, per poi non riuscirne a soddisfare completamente le eccessive aspettative. Ora che queste si sono ridimensionate, ecco che si può assaporare un album dei Kills in maniera più tranquilla e rilassata, con gli autori che non si ritrovano costretti a rincorrere il capolavoro a tutti i costi.
"Blood Pressures" è il risultato del lavoro di una band che ha ormai raggiunto un buon livello di maturità. E che dimostra una coesione invidiabile. Nei tre anni trascorsi dalla pubblicazione di "Midnight Boom" Alison Mosshart ha fatto un'esperienza importante a fianco di Jack White, in quei Dead Weather capaci di pubblicare due album in meno di dodici mesi. Il chitarrista Jamie Hince sarà stato felicissimo di riabbracciarla e di riaccoglierla all'ovile. Al suo posto avrei seriamente temuto di vedermela sfilare via: dev'esserci davvero un rapporto molto solido fra i due.
"Blood Pressures" parte senza timori reverenziali, "Future Starts Slow" e "Satellite" (scelto come primo singolo) si dimostrano subito un bel sentire, dando il tono all'intero disco. È garage rock di ottima fattura, meno minimalista rispetto al passato. Ci sono le melodie, ma c'è anche la giusta dose di "rumore", e il plus dell'efficace (e spesso anche sensuale) voce femminile di Alison. Hince è un buon chitarrista, ma è anche un uomo molto fortunato, e non solo per la love story con Kate Moss. Non a tutti capita di incrociare il proprio cammino con una donna dalle qualità vocali della Mosshart, la Debbie Harry (mora) della scena indie contemporanea.
Meno notturni che in passato, i Kills questa volta hanno lasciato emergere maggiormente il proprio spirito "punk", dando vita a un piccolo gioiellino che potrà servire come punto di riferimento all'attuale indie generation. Non hanno paura di graffiare, e lo ribadiscono in tracce quali "Nail In My Coffin" o "DNA", dove il crunch delle chitarre si fa sentire, eccome. Ma c'è spazio anche per qualche riuscitissimo midtempo che dà ulteriori punti al progetto: "Baby Says" (che sarebbe un potenziale singolone da crepacuore), con i suoi echi wave, e la conclusiva "Pots And Pans", un blues elettrico che chiude i giochi in maniera magistrale. Più trascurabile l'altra ballad "The Last Goodbye", l'unica traccia nella quale viene completamente trascurata la chitarra, in favore del pianoforte. E anche quelli che potrebbero apparire dei riempitivi, svelano in realtà altri aspetti interessanti del duo, vedi l'impronta beatlesiana data alla breve "Wild Charms" oppure i richiami Roxy Music in "Damned If She Do".
La scaletta è completata dalle prescindibili "Heart Is A Beating Drum" e "You Don't Own The Road", e se fossero state anche queste due canzoni altamente caratterizzanti, ci saremmo trovati a rasentare il grande colpo.
Con il passare dei mesi "Blood Pressures" si imporrà come il disco più continuo e accessibile dei Kills, cosa non necessariamente riprovevole. Forse perché quando le aspettative si ridimensionano, tutto diventa improvvisamente più facile.
04/04/2011