Militia!

Power, Propaganda, Production!

2011 (Neuropa)
industrial, percussioni

I Militia sono una formazione belga di lunga data che, seppur non sia notissima nella grey area, è invece un esempio dai connotati di forte politicizzazione di sinistra/socialista (come i primi Consolidated, o i Cabaret Voltaire di "Red Mecca"), spesso rivolta all'immaginario di operai e lavoratori, come già furono Test Department (cui si vengono accostati molto spesso, famosi sia per l'atteggiamento minaccioso e senza compromessi ma anche per aver appoggiato i minatori gallesi in una serie di duri scioperi con scontri durante il mandato della Thatcher). Ma, volendo estendere l'area geografica, il discorso si può allargare anche ai nostrani Officine Schwartz.
E questo a differenza della comune tendenza che l'area grigia ha avuto fin dagli esordi, ovvero quella di giocare con l'immaginario proibito dei totalitarismi, in particolare quello tedesco e italiano (un articolo a riguardo, per gli anglofoni, è questo) con tutte le polemiche che ne sono derivate negli anni; mentre, dall'altro lato, la simbologia di operai, martelli e fonderie non è nuova per gruppi elettronici di confine che diedero poi vita alla Electro Body Music: Nitzer Ebb, Bigod20, Die Krupps.

Questi filoni apparentemente separati sono l'humus musicale e concettuale entro cui il gruppo ha piantato radici crude, dando vita a una pianta folta ma discreta, lontana da rumorismi estremi e vortici estatici. Essa è invece fatta di testi che sono proclami e incitazioni tanto alla rivolta quanto all'autodeterminazione (come la dicitura sul poster interno di questo album, in stile sovietico: "We're no longer the obedient sheep"), di sperimentazione del suono come propaggine dei filoni sopra citati e l'uso della percussione come pilastro primario per tale esplorazione sonora.
La formula, ormai consolidata da decenni di predecessori, non è però banale: attraverso una schiera di oggetti, tra scarti metallici e vari strumenti a fiato veri e propri, i sei componenti del gruppo non si limitano a una semplice ripetizione dei "tamburi del Bronx" (altro gruppo francofono incentrato sulla pura percussione di barili et similia) o a una cacofonia esplosiva, alla maniera con la quale i giapponesi interpretarono questo filone (quindi non aspettatevi le orge sonore di Chu Ishikawa o Dissecting Table). I Nostri creano invece un suono ricco di effetti, anche elettronici. Un suono a volte circolare, molto più ipnotico e tribale che marziale-militaresco, come molti potrebbero aspettarsi, anche se tali sonorità non mancano, come in "Power To The People".

Non essendo musica ballabile, non essendoci ritornelli né ricerca dell'intrattenimento facile, diventa impossibile formulare un giudizio partendo da un singolo brano, ed è facile vedere una certa monoliticità nell'opera: quindi la prima cosa che colpisce dopo l'ascolto complessivo è l'insieme variegato ma stranamente coerente delle forti influenze etniche che colorano il disco nei modi più diversi; gli stili di canto certamente, che vanno dal Giappone ("A Kite Of Glass In A Blood Red Sky") all'Africa ("The Undeniable Power Of The Proletariat") al Medio Oriente ("A New Statement", "Amidst The Burning Oil Fields"), cui si aggiunge un approccio quasi mistico e "primitivo" della percussione.
D'altro canto non mancano i sintetizzatori, si sentono echi modernisti degli Einsturzende Neubauten (i primi dediti in questa area all'uso della percussione metallica libera) o qualche ritaglio di orchestrazione classica e pomposa dei Test Dept. E' quindi più una progressione o una evoluzione armonica su un complesso tappeto di intrecci ritmici, spesso con un suono costante di fondo, non così dissimili dalle vaste visioni di Steve Reich.

Qui la monotonia è un elemento raffinato e tocca alle sparse parti vocali (sebbene la maggior parte dell'opera sia strumentale) metterci il calore e la grinta necessari per la critica al capitalismo e al consumismo, la denuncia della schiavitù del denaro. Nel contempo filtra l'auspicio di un ideale ricongiungimento ecologista alle radici culturali e umane, che la produzione di massa tende a schiacciare e omogeneizzare. Ma, se le descrizioni ufficiali fanno pensare a barricate e cori di minatori muscolosi e nettamente incacchiati, i toni usati in realtà sono molto differenti, molto più complessi e riflessivi, nonostante il martellìo continuo dalla natura più disparata.

Una esperienza a volte intensa, a volte un po' retorica, a livello non solo contenutistico ma anche strumentale (infatti ci sarebbe ancora molto da esplorare nella percussione, oltre al semplice balbettio metallico continuo, figlio di una tradizione ben nota e quindi poco sorprendente), mai di facile intrattenimento, ma capace di infusioni epiche.
"Power, Propaganda, Production!" è un disco che in realtà è accessibile sia a chi volesse conoscere la musica industriale per la prima volta, senza incappare in qualche rumorismo fine a se stesso, sia per il profondo conoscitore di queste sonorità, che troverà nuovo e vecchio dosati con sapienza e ammaestrati da una esperienza che ben si sente anche nella produzione, nitida e ricercata.
Probabilmente non un disco da sentire a ripetizione, ma che spiccherebbe con orgoglio in una collezione di chi ama la sperimentazione al di là delle etichette, appagando anche il feticista con la sua confezione decisamente ricca e curata (e da qui un prezzo non bassissimo).
Accendete i fuochi della rivoluzione dentro di voi!

23/11/2011

Tracklist

1. A New Statement
2. Ub Immer Treu Und Redlichkeit
3. A Kite Of Glass In A Blood Red Sky
4. The Undeniable Power Of The Proletariat
5. Power To The People
6. Power, Propaganda And Production
7. The Conquest Of Steel
8. Abrupt Climate Change
9. Cash Crash And Crisis
10. Amidst The Burning Oil Fields
11. The Final Level

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