Roll The Dice

In Dust

2011 (Leaf)
elettronica

È uscito in questi giorni il secondo album del duo svedese dei Roll The Dice, formato da un membro del progetto synth-pop evoluto Fever Ray (Peder Mannerfelt) e da un a noi sconosciuto giovane autore di colonne sonore, tal Malcom Pardon. Il duo si fece conoscere lo scorso anno con un disco omonimo (uscito per la Digitalis) di blanda elettronica, di ispirazione "kraut". Con il passaggio attuale alla Leaf, il duo è riuscito a compiere un salto di qualità, anche se non proprio clamoroso.

Da qualche anno a questa parte è tempo di "revival". Si è iniziato alla fine degli anni Novanta con il fenomeno della nu-electronica per poi passare a tutte le scene punk-funk e nu-new-wave (quasi un paradosso, questo!). I Roll The Dice si muovono su coordinate abbastanza semplici e chiare: prendere la musica elettronica tedesca degli anni Settanta e riproporla al pubblico di oggi, abituato ad ascoltare "indietronica" e "witch-house".
Armandosi di strumentazione analogica dell'epoca, Mannerfelt e Pardon ci deliziano con delle partiture che impiegano lunghe cavalcate di sequencer tipiche dei Tangerine Dream e di Jean Michel Jarre, come nel pezzo iniziale, "Iron Bridge", che pare quasi una outtake da "Equinoxe", il disco firmato dal compositore francese nel 1978.

Tutto, in questo album, è calcolato al millesimo, in ogni dettaglio. I Cluster più ritmici di "Zuckerzeit" (1973) fanno capolino in "Calling All Workers", dove degli accordi sparsi di pianoforte fanno da sottofondo. Le pulsazioni di "Idle Hands" e di "See You Monday" fanno pensare ai dei Kraftwerk senza sezione ritmica. "Cause and Effect" e la lunga "Way Out" (uno dei vertici del disco) sono permeati da un suadente minimalismo celestiale elettronico.
Il duo tenta anche strade meno convenzionali, come nelle sperimentazioni di "Dark Thirty", dove a un serialismo di stampo colto viene abbinata una trama elettronica dal gusto "space". I rumorismi astratti di "Evolution" e di "The Suck" riportano anch'essi ai Cluster, ma a quelli altamente sperimentali di "II" (1972).
Altro fiore all'occhiello di quest'album è l'avvolgente spirale cosmica di "Maelstrom", tutta condotta in un crescendo ritmico-armonico.

Per trovare un analogo disco recente di riferimento a questo, citerei "Days Of Mars" (DFA 2005) di Delia Gonzales e Gavin Russoum, anche se lì l'accento veniva spostato più sul dancefloor e sui pattern ritmici.
In sostanza, "In Dust" è un album discreto, anche se non particolarmente originale, ma ciò che qui viene detto, viene espresso sufficientemente bene.

 

10/10/2011

Tracklist

  1.  Iron Bridge
  2. Calling All Workers
  3. Idle Hands
  4. Maelstrom
  5. Dark Thirty
  6. The Skull Is Built Into The Tool
  7. Evolution
  8. The Suck
  9. Cause and Effect
  10. Way Out
  11. See You Monday

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