Ulcerate

The Destroyers Of All

2011 (Willowtip)
atmospheric sludge, (post) death-metal

Sempre più atmosferico e “totalizzante”, il sound degli Ulcerate è, al momento, una delle realtà più eclatanti dell’intero panorama metallico. Giunti al terzo disco e con una line-up assestatasi sul terzetto base Saint Merat/Hoggard/Kelland, i ragazzi neozelandesi amplificano le loro influenze sludge e post-core, estremizzando, di rimando, il lato più cinematico della loro arte.
Solenne e titanico, “The Destroyers Of All” è, così, un altro lavoro da vivere e sperimentare nella sua interezza, perché i singoli brani acquistano un senso ulteriore se costantemente proiettati contro la “cornice”.

“Volevamo fare un disco che suonasse più 'vasto' e maestoso e questo, ovviamente, ha comportato una riduzione del nostro claustrofobico feeling”: a parlare è il batterista Jamie Saint Merat, qui sempre straordinario nel reggere la baracca con un drumming tanto incisivo quanto fluido e ricco di sfumature, nonostante la tensione abnorme da cui è attraversato. Intorno a lui, il bassista e cantante Paul Kelland e il chitarrista Michael Hoggard agitano un devastante miasma sonico, il primo macinando linee muscolari e distorte (mentre il growl diventa sempre più un fatto di pura carneficina “interiore”), il secondo con un mosaico cangiante di riff vorticosi e dissonanze agghiaccianti.
Il risultato è, insieme, stordente e ipnotico, esaltante e sovversivo, probabilmente ancora più brutale e “heavy” dell'eccellente “Everything Is Fire”.

C’è un senso di radicale, infinita desolazione dentro queste partiture (si veda, per esempio, la lancinante seconda sezione di “The Hollow Idols”, con le chitarre che “agitano” un vento inconsolabile, stormi di accordi minori che sembrano preconizzare una tragedia universale…) e, del resto, il titolo non è stato scelto a caso: “L’umanità ha la tendenza a infettare e corrompere gran parte delle cose con cui viene in contatto. Molti vivono in maniera estremamente negativa, disprezzando la nostra storia, quella del pianeta… il pianeta stesso! A causa di questo disprezzo, abbiamo la tendenza a distruggere”. L’attacco di “Burning Skies” getta immediatamente il disco in un abisso di opprimente magniloquenza, sviscerato ancora più a fondo dalla successiva “Dead Oceans”, nella quale gli strumenti rimestano macigni di disperazione senza fine, assaltando l’ascoltatore con una successione devastante di blocchi sonori granitici ed “elastici”, tutti protesi al raggiungimento di un climax a dir poco spaventoso.

“The immortal, reflected in dead oceans
Drowned by frailty tied at their feet
Even still in death, this falls on deaf ears
I am the eyes of our inception
Sewn shut”

In balia di questo suono disumano, vera e propria allegoria di sensazioni smisurate che, di stratificazione in stratificazione, rischiarano una letale antinomia tra le violentissime e agili architetture batteristiche e le fluttuazioni proteiformi del post-metal più torbido, il growl di Kelland descrive rabbiose parabole tra gelido lirismo e terror panico.
“Cold Becoming” parte a razzo, aumentando la densità delle texture e rendendo ancora più tortuoso il disegno ritmico di Saint Merat. La forza colossale della coda (un tunnel cosmico tracciato dal doppio pedale, in cui le taglienti disarmonie ascendono torrenziali) si stempera nella malinconica intro di “Beneath”, con l’arpeggio di Hoggard che mima, dapprima, oscure litanie di morte per, poi, aggiungere mattoni su mattoni a un’impalcatura arcigna, contesa tra astrazione e raziocinio. Laddove, infatti, “Everything Is Fire” camminava lungo il confine che separa il magma delle pulsioni primarie da una incandescente brama “matematica”, “The Destroyers Of All” sembra più un esercizio di trasfigurazione “mentale”, dove il dolore e la sofferenza, pur se legate a un significante estremamente “tangibile”, s’annidano nelle profondità della psiche.

“Omens”, probabilmente la vetta del disco, ha, così, un riffing velenoso e detonazioni claustrofobiche che dissimulano un sentimento di indecifrabile morbosità, mentre la lunga title track ci conduce in un raccapricciante viaggio al termine della notte.
Lungo questa strada, il death-metal continua a rinnovarsi, lontano dalle mode e dagli hype

16/04/2011

Tracklist

1. Burning Skies  
2. Dead Oceans  
3. Cold Becoming  
4. Beneath  
5. The Hollow Idols  
6. Omens  
7. The Destroyers Of All