Death Hawks

Death & Decay

2012 (GAEA Recods)
rock

Dipende molto dall'idea di "critica musicale" di chi ascolta. C'è chi in presenza di un nuovo gruppo che si affaccia all'ormai immensa scena "rock", venendo addirittura dalla Finlandia, per una sorta di snobismo nei confronti delle matricole e di reverenza nei confronti di chi questo genere lo ha costruito, sospende il giudizio e tende a considerare il tutto “ovvio” e “già sentito”, come un inevitabile tassello di una storia che dalla sua alpha sembra essere ormai giunta alla sua omega. Nella mente di costoro, di sicuro, non faranno eccezione questi Death Hawks che, mettiamolo subito in chiaro, tutto sono fuorché i prossimi salvatori della musica, ampiamente detta.
C'è poi chi, preparandosi ad ascoltare un album come questo “Death & Decay”, deve tenere a bada l'amore per un genere che molti dicono sia defunto da tempo, il rock'n'roll appunto, e che quindi non ti permette proprio oggigiorno di stare troppo a sottilizzare sugli scarti artistici, minimi o considerevoli, che fanno di una raccolta di canzoni un masterpiece o l'ennesima variazione su tema.

Da questo punto di vista, il debutto dei Finladesi Death Hawks, in un mondo che ha già premiato come migliori artisti dell'anno gli Skrillex e Psy, ha un limite evidentemente che è anche un punto di forza: è una replica bella e buona di quanto la storia della musica rock ha già scritto con altri nomi: Jefferson Airplane ma anche Led Zeppelin, The Doors o Black Mountain, se vogliamo rimanere più contemporanei. Al di là di vaghi rimandi, ma neanche tanto vaghi, al country "nero" del solito Johnny Cash, i Death Hawks vogliono suonare rocciosi perché quello sanno fare bene. Rock primitivo che guarda da lontano alla tradizione e più da vicino alla voglia di mescolanze soniche (“Shining”) associabili più a gente “malata” come Earth, intesi sia come quelli di Dylan Carlson ma anche alla prima incarnazione degli storici Black Sabbath, Om, Circle e Stig che ai popolari e populisti Kings Of Leon.

Nel dettaglio, “Death & Deacay” si apre con i colori pastello e la cavalcata tenue di “Blue Void” che richiama le sonorità salmodiali di certe "nuove" voci americane. Succederà spesso nel corso di tutto l'album. Ad esempio in "Death Has No Reprieve", che molto deve a David E. Edwards e non a caso scelta come primo singolo del disco. L'attacco di tastiere di “How Dark Was The Land”, supportato da un ottimo riff di chitarra, risveglia il calore funky-boogie mai assopito nella band. "Roamin' Baby Blues" è un simpatico "scherzo", come Dan Sartain sapeva un tempo crearne tre in cinque minuti; e “Death Hawks On My Trail” cede un po' alla recente febbre bluesy-revivalista, alternandola a due crescendo ancora più scontati.

Ci pensa la doppietta “Holy Waters” e “Priest's March” a rimettere in carreggiata la band, ora felicemente posizionata tra Screamin' Jay Hawkins e The Eighties Matchbox B-Line Disaster fatti di acido. La ballata “Dead Man” e il country-pagano della conclusiva “The Peace Maker” ricordano a tratti le sonorità create da Paul Giovanni per la colonna sonora del primo (e unico, quello del 1973) “The Wicked Man”, rappresentando così due tra gli episodi più belli e caratterizzanti del disco.
“Death & Decay” è quindi un figlio del suo tempo. Con poche idee ma sostanzialmente buone, più che dignitoso, ma di sicuro non originale. Tuttavia, specie di questi tempi grami, fatti di molto fumo e niente arrosto, è scontato ammettere che a qualcuno potrà andare anche benissimo così.

16/12/2012

Tracklist

  1. Blue Void
  2. How Dark Was the Land
  3. Roamin' Baby Blues
  4. The Beast
  5. Death Hawk on My Trail
  6. Shining
  7. Holy Water
  8. Death Has No Reprieve
  9. Priests March
  10. Dead Man
  11. The Peace Maker






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