I fratelli Kidd tornano, dopo il buon lavoro di debutto “You Dig The Tunnell, I'll Hide The Soil” del 2009, con un secondo album librato su tredici nuove canzoni che, sin dal titolo, svolazzano delicatamente tra amarcord erotica e varia autobiografia. La cifra compositiva della band rimane fedele a sé stessa e non arrischia evoluzioni pirotecniche, confermando i suoi flagranti richiami all'indie-rock inglese griffato Creation Records e ribadendo un'attitudine punk-wave canzonettara senza particolari ambizioni radical-chic, che non delude né esalta.
Potendo contare su una buonissima voce e su trame di chitarra dinamiche e guizzanti, gli Hatcham Social allineano una sequenza di godibili episodi di brit-rock in quintessenza, increspati qua e là da un tocco più vintage. A sentire brani come “All Summer Long”, “Stay Together”, “ Invention Of Air” (inno potenziale), “Would You”, tutti peraltro baciati da ritornelli a presa ultrarapida e immediatamente ricantabili, si notano lampanti analogie con il canzoniere ormai remoto dei Libertines (e di gruppi ad essi imparentati stilisticamente come Razorlight o Cribs, tornati quest'anno con un album notevolissimo, ignorato dai più).
Tra gli esiti più felici si segnalano anche, sempre nel medesimo solco, “Lois Lane”, “Like An Animal” (quasi garage), “Little Savage” (tra le migliori), che evidenziano tutte un affinamento sensibile della grafia compositiva.
Esauritosi il big-band mediatico degli Arctic Monkeys, il destino dei gruppi indie-rock inglesi più, per così dire, “tradizionali” rischia oggi seriamente di restare imprigionato in un limbo senza vie di fuga verso la visibilità. La proposta di un band come gli Hatcham Social corre infatti il pericolo di diventare, del tutto paradossalmente, materiale esoterico per pochi appassionati archeologi del suono contemporaneo. Ad ogni modo, come detto, la band si difende con dignità e schiva elegantemente la grossolanità (a tratti triviale) di band più rudimentali come Spector, Two Door Cinema Club o Tribes.
08/10/2012