Hildur Guðnadóttir

Leyfðu Ljósinu

2012 (Touch)
electroacoustic avant-garde

Nel curriculum di Hildur Guðnadóttir sono raccolte alcune tra le esperienze più importanti della musica moderna. Cantante e violoncellista dal training classico, attiva da una decade nell'ambito della sperimentazione musicale, ha contribuito all'avventura di numerosissimi nomi fondamentali tra cui Pan Sonic, Throbbing Gristle e, sopratutto, Múm, dei quali è divenuta membro fisso a partire da "Go Go Smear The Poison Ivy" (2007). Nel frattempo ha proseguito il suo cammino di ricerca nel laboratorio sonoro Touch, con un'attività solista all'insegna della fusione tra l'estetica glitch e i lancinanti e oscuri parti sonori del suo violoncello, dando vita a tre album di pura sperimentazione elettro-acustica e a una collaborazione con il guru dell'ambient-glitch BJNilsen.

Il nuovo capitolo della sua saga raccoglie un'improvvisazione di quaranta minuti tenutasi al Centro di Ricerca Musicale dell'Università di New York. L'islandese "Leyfou Ljosinu" si può tradurre in "Lascia spazio alla luce", e rende perfettamente l'idea dell'accezione data alla straordinaria performance. Il rinnovamento concettuale della definizione di musica d'ambiente portato avanti dall'islandese nella sua ricerca trova il suo punto focale in questi quaranta minuti scarsi di avanguardia elettro-acustica, in cui l'applicazione della musica all'evocazione e allo spazio circostante si evolve: il flusso sonoro che parte dall'intrinseco rapporto con i gelidi landscape islandesi, dagli stessi si solleva posizionandosi in un ambito metafisico, slegandosi completamente dallo spazio con il quale formava un sinolo.
È il trionfo della forma, della perfezione tecnica. Dove prima v'erano suoni in simbiosi con gli oggetti e le immagini circostanti, questi ora si rapportano in legami solo con loro stessi.

Si parte, quindi, dal mondo terreno, nella sua visione più astratta, dal minimale incedere di lunghe note di violoncello nei primi cinque minuti dell'overture di "Prelude", che suonano come una preparazione prima della partenza, una sorta di riscaldamento. Il vero inizio arriva con il minimale incedere di note di pianoforte che perdono la loro carica col trascorrere dei minuti, in corrispondenza dell'arrivo di tessiture elettroniche già proiettate verso una cornice parallela. La voce fa la sua comparsa poco dopo: le sillabe sono sfruttate come droni, ripetuti ciclicamente, sul modello caro al movimento minimalista, e procedono così verso una scalata. L'astrazione è lenta, progressiva, non vi sono sbalzi né testacoda, solo un continuo fluire che cattura elementi man mano che s'innalza. Ancora sample, tappeti, qualche disfunzione, poi il violoncello e nuovi archi vocali: ma la sfumatura è così lenta, così progressiva da impedire quasi del tutto di rendersi conto del continuo movimento. Verso la metà della composizione, si tocca il picco espressivo con l'urlo silenzioso di tutte le sue componenti in simultanea, e con il violoncello che va a sostituire la voce nel ruolo di protagonista.

La salita non è terminata, la catarsi è ancora lontana. Il violoncello comincia a distendersi, a lasciar fuoriuscire le sue coordinate, e, languido, inizia il ritratto di atmosfere prive di emozione. L'ascesa prosegue e non c'è elemento che induca alla frenata, né suggerisca quando e dove il tutto possa terminare. Si inizia ad acquisire velocità, non sparisce minimamente la sfumatura evolutiva, e la catarsi estatica arriva nei tre minuti che precedono il termine: dal silenzio iniziale ora pare di stare udendo un'intera orchestra sinfonica, il violoncello viene trattato attraverso l'ausilio del laptop, le sue linee sonore moltiplicate allo sfinimento, è un grido fortissimo ma silenzioso, che conquista ma senza spingere, che emoziona ma senza sfiorare il cuore. Poi, d'improvviso, il tutto scompare, illude di aver raggiunto il punto più alto, ma un minuto dopo la corsa riprende, supera la velocità della luce, ma solo per poco. Dopodiché, il silenzio. Resta l'eco lontana a impedire di definire come, dove e se il percorso sia terminato, il cerchio chiusosi. La risposta non può essere data, non è né affermativa né negativa. E' semplicemente astratta, indefinita, come ciò che l'ha preceduta.

La bellissima esperienza sonora a cui pochi fortunati hanno avuto l'onore di assistere lascia alle sue spalle un'unione notevole di tecnologia e concetto, coronando l'esperienza di un'artista in costante evoluzione e capace di trattare un ambito "intellettuale" come quello dell'avanguardia all'insegna dell'umana emozione.

15/05/2012

Tracklist

  1. Prelude
  2. Leyfðu Ljósinu

Hildur Gudnadottir sul web