Il 1968, per la musica di colore al femminile, fu l'anno di "Lady Soul" a firma Aretha Franklin e delle Supremes al debutto. Come a dire: niente fu più come prima. Pure i maschietti sbancarono con la prima raccolta post-mortem di Otis Redding e con "Dance To The Music" di Sly & The Family Stone. Esordire in quei giorni lasciando anche il segno, in ambiti soul (ma non solo), era impresa ardua: ci volevano talento e buona sorte.
Cosa andò storto a Jean Wells in quel 1968, anno del suo "World, Here Come Jean Wells", non è dato sapere. Eppure per lei sembrò in principio girare bene. Indolore il passaggio dalla musica sacra a quella secolare (chiedere al "reverendo" Al Green cosa significa tale trapasso), con genitori accondiscendenti che, dopo l'indottrinamento gospel, consentirono a lei, nativa di Palm Beach, Florida, un soggiorno a Philadelphia, ai tempi Mecca del suono americano.
Pianista autodidatta, Jean ci mette entusiasmo e qualche singolo (dispensabile) riesce pure a piazzarlo, ma è poca roba se vuole fare sul serio. Tuttavia si fa conoscere, e l'opportunità della vita si materializza nell'incontro con un uomo che ai suoi occhi è come un Dio. Agli occhi di lui, invece, lei potrebbe essere ottimo investimento. Parliamo di Clyde Otis.
Il curriculum del Nostro è di quelli importanti: produttore, per la Mercury Records, di Brook Benton, Dinah Washington, Sarah Vaughan. E tanto basterebbe. Ma c'è di più, ossia l'Aretha Franklin su Columbia (prima dell'approdo su Atlantic: quella di "One Step Ahead", nello specifico). Le assonanze tra la Signora Soul e Jean Wells ci sono, ma a pesare sono le differenze: una ti atterrisce, l'altra ti sfiora. Senza contare gli anni di presenza sulle scene e il talento. Perché non provare?
Per lanciare la Wells Otis crea una label ad hoc, la Calla Records; e dopo una serie di singoli dalle alterne fortune, nel 1968 tocca a "World, Here Come Jean Wells". Dieci tracce che pure a sforzarsi è impossibile dirne male. Dolenti ballate tra blues e gospel ("I'll Drown In My Own Tears"), vertiginosi stomp errebì ("After Loving You") e la voce di Jean in pompa magna ("Sit Down And Cry"). Archi e fiati come se piovesse, fraseggi alla Martha and the Vandellas (vedi "I Feel Good" e chiamala, se vuoi, "Dancing in the Street") e una canzone, "Have A Little Mercy", che da sola vale il biglietto. È la storia - vera - di un amore non corrisposto, un racconto dolente come tanti narrati dal soul e che del soul sono il pane. Verrà ricordata così, per il pezzo che mai avrebbe voluto scrivere. Quando il destino gioca con te, c'è poco da fare.
Ma a ricordarla saranno davvero in pochi. Come detto, il disco fu un flop e a chiedersi il perché ci si perderebbe la testa. Uscì nell'anno di "Lady Soul" - che sta al soul come "Are You Experienced" di Hendrix sta al rock - e il confronto (che ripetiamo, c'era sia stilisticamente che per contingenze storiche) fu perso. Ma avrebbe perso chiunque.
A differenza della precedente edizione Kent del 1994, sempre intitolata "Soul On Soul", nella ristampa Bbe troverete "World, Here Come Jean Wells" cinto di nuovi inediti e memorabilia. In pratica, tutto ciò che tocca sapere di una donna che fece dell'amore sofferto il trampolino per arrivare alle orecchie di qualcuno. Non di molti, ma non è mai troppo tardi.
16/01/2012