Catapultati in un caos proteiforme di distorsioni, frequenze disturbate e riverberi metallici, riconosciamo immediatamente la mano del Kevin Drumm più oltranzista, anche se i fondali dronici che si distendono nelle retrovie ci dicono che il nostro uomo è seriamente intenzionato a contaminare il suo minaccioso passato con le soluzioni più evocative della doppietta “Imperial Distortion”/”Imperial Horizon”.
Ma è una sintesi che, spiace dirlo, resta tutta nell’alveo delle buone intenzioni, perché questi scarsi trentasette minuti di musica, giocati sulla stratificazione di più sorgenti, non riescono a manifestare un’anima. Tanto che, a conti fatti, il continuum harsh-noise-dronico si trasforma lentamente in un enorme sbadiglio.
Per la serie: continuare a raschiare il fondo del barile...
10/11/2012