Potrebbe essere, questo, il disco della definitiva consacrazione fra i migliori rapper della sua generazione per il talentuosissimo Killer Mike, protagonista di una carriera altalenante, partita col botto in orbita Outkast grazie al successo dell'ottimo "Monster" (2003) e poi proseguita in chiaroscuro nelle successive tappe un percorso accidentato ma a suo modo coerente e peculiare. Lo si capisce già dal titolo, vergato come acronimo a lettere puntate, che questo album segnerà un ritorno alle origini. Un ritorno alla musica rap così com'era concepita venti, trent'anni fa. Parole forti, non addomesticate, su tracce crude e battenti. Un approccio di scuola tipicamente east-coast ma rivisto alla luce della dimensione intellettuale e alternativa che ha plasmato l'hip-hop nel primo decennio degli anni Duemila.
Non per nulla la direzione artistica, dopo i tanti - forse troppi - nomi celebri a cui si era contemporaneamente affidato in passato, è opera di un produttore unico. E mica di uno qualsiasi: l'onnipresente (e onnipotente, verrebbe quasi da dire, per quello che ci sta facendo ascoltare quest'anno) El-P. L'uomo ideale per procedere con piglio freddo, quasi chirurgico, a una revisione metafisica (in senso artistico) della old-school newyorchese degli anni 80 e 90 e alla sua proiezione in un immaginario tecnologico, paranoide, retrofuturistico. Anche la matrice politica e di critica sociale, da sempre presente nelle liriche di Killer Mike, sembra rileggere il presente alla luce di "quel" periodo di storia americana e della sua nefasta, a suo dire, eredità. Non è un caso, forse, che proprio quegli anni di speculazione economica e d'inaridimento culturale, di ghetti neri impoveriti e presidiati con piglio militare, anni di forte reazione e resistenza anti-reaganiana, abbiano contribuito in maniera determinante a rendere il rap "conscious".
Lo si evince da uno dei brani più forti presenti in scaletta, significativamente intitolato al quarantesimo presidente degli Stati Uniti: in mezzo a brevi stralci di discorsi ufficiali, aizzato da un beat di piano metallico e da synth-dark e opprimenti, Killer Mike si scaglia non tanto contro una figura autoritaria e controversa ("They declared the war on drugs like a war on terror/ But it really did was let the police terrorize whoever/ But mostly black boys, but they would call us "niggers"/And lay us on our belly, while they fingers on they triggers"), quanto contro un modello di politico-attore schiavo dei poteri forti e dell'industria bellica che avrebbe poi conosciuto imitatori in entrambi gli schieramenti ("Just like the Bushes, Clinton and Obama/ Just another talking head telling lies on teleprompters/ If you don't believe the theory, then argue with this logic/ Why did Reagan and Obama both go after Gheddafi"), gettando sul futuro prossimo presagi quasi apocalittici ("Ronald, 6, Wilson, 6, Reagan, 6: 666"). Sulla stessa linea stilistica e temporale s'insedia anche la feroce "Don't Die", dove l'intonazione di Killer Mike cita in maniera esplicita quella tonante di Ice Cube e l'incedere del brano ricorda quello di un inno gangsta come "Fuck Tha Police", inscrivendo il tutto nella sceneggiatura sonica, tenebrosa e fantascientifica, di El-P (suoni angoscianti come di sirene antiaeree, voci filtrate e incomprensibili di intelligenze artificiali).
Una potenza di fuoco non dissimile da quella sprigionata da un singolo saturo e bombastico, con pattern sul filo del rasoio e gemiti "porno-gotici" degni quasi di Rob Zombie, come "Big Beast" e dalla martellante ed astiosa "Butane (Champion's Anthem)" (con El-P anche al microfono nell'ultima strofa). Pur compatto, angolare, tirato, "R.A.P. Music" non si esaurisce in un'unica direzione ma si espande in un buon ventaglio di soluzioni: il break-beat sghembo e ballabile di "Go!", corredato di scratch vintage ed effetti sonori da videogame preistorico, la old-school grondante di funky acido e wah liquescenti di "Jojo's Chillin'" che rimanda a lontani echi di EPMD e Gang Starr, il rhymin' a raffica, i loop di chitarre distorte e l'organo funereo nel ritornello di "Southern Fried". E poi un trittico di rara maestria: "Ghetto Gospel" con l'apertura soulful dell'inciso strinata dai synth gelidi e taglienti e da scampoli di archi noir in sottofondo, la sincopata e compressa "Willie Burke Sherwood" che si nebulizza in un ritornello elegante e melanconico e la splendida "Anywhere But Here", sorta di dark-funk che Killer Mike interpreta con una cadenza sorniona ma cinica, spietata che ricorda quella di Snoop Dogg, lasciando poi spazio al cantato femminile dolente di Emily Panic.
Potente, diretto e al contempo raffinato, con "R.A.P. Music" l'inedita coppia Killer Mike-El-P ha realizzato quello che è di gran lunga uno dei migliori dischi hip-hop "d'autore" del 2012.
13/06/2012