Dopo "Nicht", un disco ancora acerbo ma che faceva intravedere discrete potenzialità, i Pink Holy Days ritornano con l'album "Twenty Eight Minutes", composto da ventotto minuti di musica electro/industrial, robusta quanto basta e timidamente danzereccia.
A volte si sente spesso dire: e allora? Tutta roba già sentita. Vero, ma esiste il già sentito inutile e il già sentito fatto discretamente bene. Nel nuovo lavoro del duo bresciano, in verità, non è che si riscontrano chissà quali novità, ma gli svariati riferimenti e accostamenti a band che in passato trasformarono e fecero di quelle sonorità un vero e proprio genere musicale, lo rendono un disco comunque gradevole e apprezzabile.
Brutali e aggressive parti sintetiche ("Shh") denotano peculiarità e caratteristiche tanto care a quella scuola electro/Ebm canadese cominciata dapprima con gli Skinny Puppy e che continua ancora oggi attraverso i Front Line Assembly - probabilmente la miglior espressione mondiale di sonorità electro/industrial. Si riscontrano, inoltre, alcuni brani dai ritmi più veloci e noisy ("Skit", "Motordead"), in rappresentanza di una sorta di conglomerato techno/industrial/cyberpunk alla Terrorfakt o meglio ancora alla Atari Teenage Riot. Non mancano hit da dancefloor quali "Space Man" - corredato anche da un videoclip - e "Stand By Me", che ricorda vagamente i beat targati Daft Punk.
Se i Pink Holy Days continueranno su questa strada, giocando e ampliando alcune sperimentazioni ("Trop Cap" e "28"), si potranno sicuramente ritagliare un piccolo spazio fra i grandi nomi della scena Ebm italiana, come i torinesi e immensi DsorDNE negli anni Ottanta o i trevigiani Templebeat nei successivi Novanta. "Twenty Eight Minutes" non sarà per nulla disprezzato dagli amanti dei suoni in stile NIN o Marilyn Manson. Ventotto minuti possono essere pochi per farvelo piacere, mentre sono sicuramente troppi - bastano davvero pochi secondi - per farvi innamorare della graziosa e attraente donzella in copertina.
09/07/2012