Il secondo lavoro della coppia canadese dei PS I Love You definisce i confini di un discorso musicale che, pur mantenendo praticamente inalterata la formula del precedente "Meet Me At The Muster Station", dischiude un palpabile retroterra d'inquietudine. A sentire Paul Saulnier e Benjamin Nelson questo sentimento è figlio diretto delle recenti novità: il tour, la lontananza dalle proprie radici e il confronto con la fama (per quanto sempre di fama limitata si tratti). Paul, inoltre, racconta di essersi ripetutamente imbattuto in sogni che avevano a che fare con il distacco, la perdita, insomma tutti simboli di quella morte che, prima o poi, arriverà per tutti (ok, toccatevi pure...). Tuttavia, la carica noise power-pop resiste e l'eccitazione glam pure ("Sentimental Dishes" ne offre conferma deliziosa e vibrante, permettendosi anche il lusso di un assolo niente male).
Languida e nostalgica, pregna di un romanticismo disperato, la title track annuncia precisamente questo fondo più psicologico e meno viscerale rispetto al predecessore. Rumore, melodia e grazia giovanilistica non mancano all'appello e si va di crescendo pulsante, scampanellando tra memorie di estati clamorose e tormenti emo che snocciolano l'alfabeto degli amori impossibili ("Don't Go"), sgraziati e febbricitanti anthem ("Toronto", "First Contact"), strane fragranze Pixies ("Future Dontcare") e mai sopite luminescenze Sonic Youth ("How Do You", "Red Quarter").
Il duo è in ottima forma, anche quando spinge verso soluzioni più costipate ("Princess Towers") e, poco alla volta, anche tuffandosi senza timori tra gorghi torbidi, come accade nella toccante "Saskatoon", finisce per irretire e rendere meno angosciante qualsiasi pensiero della fine.
Aurale e con qualche spunto di muliebre sinfonismo, spinto da sincopi pelviche, meno sanguisuga del lo-fi: la coppia dell'Ontario arriva al disco manifesto all'opus numero due. La chitarra di Saulnier, tra fuzz, distorsioni grasse e assoletti para-acrobatici, è già una piccola forza della natura; non proprio rivoluzionaria, fa però la parte di uno sparatutto che da solo regge più di metà del sound. Il canto, in secondo piano e quasi diluito nei suoi stessi gorgheggi, ne è il perfetto contrappunto. Comprensibili cali di fiatone nel finale. Produzione - oltre a Saulnier - del compatriota Matt Rogalsky, artista elettronico inventore di "Kash", software per la manipolazione delle sorgenti sonore. Scatto di copertina a cura dello stesso Nelson.
24/05/2012