Che fine ha fatto Mike Paradinas? Quello che fu uno dei più importanti e meno considerati esponenti dell'idm è assente dalle scene da ormai quasi sei anni: tanti ne sono trascorsi da “Duntisborne Abbots Soulmate Devastation Technique”, l'ultimo, nostalgico capitolo della saga μ-Ziq. Il Paradinas di oggi è prima di tutto il manager della Planet Mu, una delle etichette più particolari e imprevedibili della scena musicale odierna.
Dimenticatevi i tempi in cui questa contribuì allo sviluppo dell'idm stessa affiancando la Rephlex di Richard David James nel ruolo di talent-scout: la creatura dell'inglese è oggi, al pari forse solo della Thrill Jockey, protagonista di una proposta che fa dell'originalità e – per certi versi – della bizzarria un credo. Ed ecco dunque che l'ultimo interprete scelto per questa linea è il cantautore Rudi Zygadlo, che arriva con “Tragicomedies” al suo secondo parto, di due anni successivo al debutto di “Great Western Laymen”.
Il disco è un teatrino composto idealmente da tredici marionette che fanno di kitsch e abbinamenti dal gusto dada la loro peculiarità. Il mix è di quelli micidiali: dubstep, musica classica, ritmi esotici, linee post-wave, echi della Canterbury meno intellettualoide e si potrebbe ancora continuare.
Una miscela che corre senz'alcun dubbio il rischio di risultare da più parti corrosiva anziché esplosiva, ma che regala a conti fatti un buon lavoro, curioso e mai scontato.
Inizia “Kopernikuss”, e sembra quasi di sentire Kevin Ayers che apre le danze, poi partono coretti lievemente Queen e il tutto si chiude con lunga coda di pianoforte, senza scarti da un composto minimalismo. Se non bastasse, subito dopo arriva “Melpomene”, con un minuto filato di clavicembalo a cicli regolari, prima che il tutto prenda la piega di uno sfottò in grande stile ai romantici e si concluda fra cori trattati al computer e droni smaliziati.
E ancora “Russian Dolls”, pop song su ritmo dubstep con vocoder in pompa magna: un singolone ipnagogico che farebbe fortuna praticamente ovunque. A concludere un quartetto da caos cosmico, arriva la languida messa a cappella di “An Introduction”.
Capirci qualcosa è davvero impossibile, e tutti i brani seguono questo come unica linea guida: basta prenderne qualcuno a caso e cercare tratti comuni che non si troveranno. La title track, per esempio: una canzonetta ritmata da piano-bar scandita da quello che sembra un carillon con tanto di ritornello alienatissimo, che recita, saltellando su metallofoni: "The drummer makes me/a little selfish".
Leggi “The Domino Quivers” e traduci linee vocali basse e alte che si mischiano e si sovrappongono a cori smaliziati, e poi flussi dub e sample di voci modificate e detonate. E ancora “On”, vero e proprio assemblaggio di campioni di vario genere: bambini che cantano una marcetta natalizia, cori gregoriani, un ¾ che batte guarnito da quei glitch dolciastri tanto cari a Hudson Mohawke. Per cercare un po' di “normalità” siamo costretti a rifugiarci nel folk-step della conclusiva “Variously Made Men”, melodica e “uniforme” come nulla prima.
Come un giocoliere, Zygadlo interseca e programma un caos totale e provocatorio, nella miglior tradizione dadaista, nascondendo dietro la maschera dello scienziato pazzo un talento che, con tutta probabilità, non perviene a chi ascolta nella sua interezza.
Il considerevole sforzo consegna un album frizzante e vivace, pregno delle matrici più disparate ma forte di un'immediatezza che rivela forse solo una minima parte del suo potenziale. Tutto da scoprire.
27/09/2012