Questo non è un disco, ma un podcast. Il che vuol dire tutto e niente. Quelli che sanno dicono che la techno sia intransigenza, rigore, impossibilità nello scendere a compromessi. Un'austerità grigia, in cui si rimpallano beat e sguardi fissi su punti in movimento. Ma la techno ha un sacco di tonalità, e allo stesso tempo non ne ha.
Avete presente quell'esperimento per il quale, sovrapponendo sette colori, otteniamo il bianco? Ecco, quella è la techno. Fusione, riduzione, sintesi. Ha toni che si nascondono in un'uniformità che ti impalla la testa, che ti fa roteare, rinchiuderti autisticamente. È un rito personalissimo con se stessi, con il proprio Io, è roba da cuore aperto e stilettate feroci. Ora in una velocità che sa di acidi in movimento, ora in un buio claustrofobico.
"Silent Servant In The Mix", così Chris Liebing al minuto quarantasei, e il 4/4 che inizia a legnare, profondissimo, d'acciaio. È tutto rinchiuso lì, in quei secondi nei quali la voce umana si fonde con la macchina. Col tempo ho maturato una convinzione. A chi mi parlava di un "genere" - l'elettronica in senso lato - come di un qualcosa senz'anima, non sapevo davvero cosa rispondere. Mi si diceva che erano le chitarre a dover contare - sangue e sudore, insomma.
Ora invece penso d'aver capito qualcosina, e credo che stia proprio nel battito candido del
remix su "Bell Blocker" a nome
Planetary Assault System, nella cattiveria di vetro degli Uganadan Methods, in Function o Shifted che preparano tritoli artigianali, o nell'apertura coi
Cabaret Voltaire e nella chiusura coi
Throbbing Gristle, che emerge un qualcosa che non è artificiale, ma che, al contrario, gronda linfa umana.
Non c'è nulla di più naturale, chirurgico, fisico di una bordata lanciata da Mr. Dettmann o della premiata ditta
Sandwell District. Questo sì è sangue rosso, fluido che scorre, in un meccanismo di logica che non sottende null'altro se non se stessa. Un divenire delle cose secondo regole e dogmi che non si piegano, ma che vivono e s'innalzano. E si incontrano, si compenetrano. Silent Servant qui ne è l'architetto, fa incontrare le rette, le piega senza spezzarle, il loro moto rimane rettilineo. E nei punti di rottura ci si trova in una continuità che da il senso del fluire.
Due ore piene di martello pneumatico. Di quello da ascoltare in cuffia senza fermarsi, coi bassi che sfondano tutto. E tentare di mantenere il volume alto, spaccandosi timpani e fottendosi l'udito per le ore successive. Ma non è importante quando ci si trova davanti a queste dimostrazioni di onnipotenza. Questi edifici di cemento armato che tanto odorano di chiaroscuri si stagliano impetuosi all'orizzonte, e noi lì pronti a raggiungerli per sfondarci tutto. E viverlo ballando quel tutto. Perché la techno è davvero la cosa più umana che ci possa essere.
05/07/2012