Arp

More

2013 (Republic of Music)
avant-pop

Alexis Georgopoulos è uno di quei musicisti che negli anni 80 avremmo definito autore di un folk-psichedelico sperimentale, in bilico tra suggestioni progressive e kraut, insomma un buon seguace di Brian Eno, Peter Blegvad, Anthony Moore o Kevin Ayers. Da dieci anni le esperienze sonore del musicista americano (genitori francese e greco) si sono suddivise tra capitoli più sperimentali e altri più inclini alla contaminazione.

“More”, terzo album come Arp, giunge dopo tre anni da “The Soft Wave” ed è il primo progetto che sfida le regole del pop per assoggettarle a un fantasioso e bizzarro mélange di glamour-rock alla Roxy Music, minimalismo alla Philip Glass e strategie oblique alla Brian Eno. Quello che viene fuori non è un pasticcio disordinato o privo di identità, anzi, Alexis Georgopoulos dimostra di aver trovato la chiave di volta per coordinare tutte le sue migliori suggestioni, mettendo a frutto anche la recente collaborazione con Anthony Moore.
L'autore mette insieme songwriting e sperimentazione per dare vita a una sua personale visione dell’art-rock, un ponte tra le visionarie pagine di Kevin Ayers e il versante dolente della New York di Lou Reed, una musica in bianco e nero dove le sfumature sono più preziose di mille colori.
“More” è il classico album che ogni buongustaio troverà raffinato e atipico, le citazioni sono garbate e deliziose e non scivolano mai nel puro revival: per esempio “Judy Nylon” è figlia di “Do The Strand” e di “Here Comes The Warm Jets” e “Light+Sound” sembra uscire dalla seconda facciata di “Before And After Science”, ma in entrambi i casi non si tratta di un semplice esercizio calligrafico.

È l’insieme quello che fa di “More” un album intrigante: il romanticismo di “High-Heeled Clouds” e il calore incorporeo di “A Tiger In The Hall At Versailles” si incrociano con intermezzi di field-recording, piano, rumori, accenni di synth, chitarre e violini (“E2 Octopus”, “17th Daydream”, “Invisible Signals”) che a volte prendono il sopravvento e danno corpo a piccole gioie di minimalismo alla Steve Reich in “Gravity (For Charlemagne Palestine)”.
Il nuovo progetto di Arp è come un buon libro, fatto di momenti esaltanti che si alternano con descrizioni ambientali dove vince l’atmosfera: puoi ritrovare anche i Beatles e Harry Nilsson in “Daphne & Chloe” o tracce di spiritual e psichedelia in “More (Blues)”, ma è tutto funzionale a un incastro che si regge su contrasti stilistici che animano un unico progetto.

22/02/2014

Tracklist

  1. High-heeled Clouds
  2. Judy Nylon
  3. A Tiger in the Hall at Versailles
  4. E2 Octopus
  5. Light + Sound
  6. 17th Daydream
  7. Gravity (For Charlemagne Palestine)
  8. Invisible Signals
  9. More (Blues)
  10. V2 Slight Return
  11. Daphné & Chlöe
  12. Persuasion

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