L’incredibile impresa di suonare loud e annoiati al tempo è riuscita ai Big Deal, che annoiati avevano già dimostrato di esserlo nel precedente “Lights Out”, e ora giocano sporco con pezzoni riffeggianti e gazey come “Teradactol” (nome di una bizzarra pratica sessuale, a quanto pare), oltre ai più classici brani noise-pop slavati, Tatum-eggianti, da spring breaker decadenti (“Catch Up”).
La sensazione è sempre quella di un distacco abissale, di una freddezza costruita attraverso la meccanica impeccabile dei pezzi, immacolate sovrapposizioni di indie-pop, shoegaze, dream-pop, folk-pop (“Call And I’ll Come”), il tutto tenuto insieme da un’abulia di fondo che non trasmette nè amore, nè malinconia, nè qualsiasi pur minimo segno fisiologico o di attività intellettuale.
Insomma, un inno all’indeterminatezza, ambientato in un limbo esistenziale di post-adolescenza ancora da digerire, ancora da affrontare: mancano le risposte, ma soprattutto le domande.
13/06/2013