Cherokee Red

Del tutto diversi dagli scenari ancestrali che sembrerebbero evocare il nome del progetto e la copertina di graffiti preistorici, i Cherokee Red sono l’unione artistica eterogenea di Charles Davis e Christiana Bartolini, autori di un disco che sta pian piano facendo parlare di sé.
Ha in effetti tutto quel che è necessario, nonostante l’aspetto innocuo della musica del duo (ora allargato), fatto di brani acustici languidamente articolati dalla Bartolini e arrangiati in un misto di eleganza bohemienne, veracità collettiva e onirismo d’artista.

Non lontano dal dream-pop anni 90 dei Mazzy Star e dall’understatement libertario dei Velvet Underground, fino ad arrivare (ma è decisamente il riferimento più stiracchiato, a esclusione di una “Heavy Soul”) ai Beach House, “Cherokee Red” si sviluppa tra baluginii notturni (“Nightmares & Lullabies”) e dolci malie (“Blissful Blows”, “Cracks”), con gli strumenti che si amalgamano occhieggiando sornioni, tra velati riverberi e anche inaspettate dinamiche ritmiche (“Mythomania”).
Seppur mai sorprendente, si tratta di un lavoro di ottima scrittura e grande gusto evocativo – per esempio nel duetto tra le registrazioni e le danze di meduse di “Decanter”, che la Bartolini orchestra con le sue sempre smaglianti interpretazioni.

Insomma un disco sfuggente, dalla trama leggera ma sempre brillante, in cui le pulsioni intellettuali vengono trascese in una nuova realtà virtuale, intangibile, che pare a volte una rappresentazione cibernetica del passato (la scenografia aliena di “Holy Jam”). È così che può capitare di ballare guancia contro guancia con immagini volatili, simulacri di sogno (“Vaya Con Dios”). E forse solo dopo un po’ può rivelarsi del tutto l’immaginario musicale dei Cherokee Red, profondo e ancestrale come l’uomo solo, stilizzato, in mezzo alla spirale...

03/05/2013