Dark Tranquillity

Construct

2013 (Century Media Records)
melodic-death-metal, goth-metal

Il nuovo album degli svedesi Dark Tranquillity si intitola "Construct" ed è anticipato dalla dipartita del bassista Daniel Antonsson, il quale a sua volta era subentrato al posto di Mikael Nicklasson (partente per motivi familiari nel 2008). Il suo ruolo viene ripreso da uno dei fondatori, Martin Henriksson, comunque sempre presente anche con la chitarra ritmica, che torna così al basso dopo il 1999.

L'album segna un quasi improvviso recap nella carriera del gruppo. Forse anche per rispondere alla povertà di idee espresse con il disco precedente, "We Are The Void", e alla tendenza ad assestarsi su dei fondamentali comuni nell'ultimo decennio di full-lenght, gli svedesi decidono di rispolverare e rimescolare diverse attitudini esplorate nel corso della loro carriera. Quelle che risaltano di più sono senza dubbio quelle provenienti dai dischi di metà carriera, ovvero "Projector" ed in parte "Haven", dai quali emergono in maniera più preponderante che mai alcuni spunti gotici e melodici molto presenti nel songwriting, in parte nei soundscape atmosferici realizzati con gli strumenti e nelle digressioni più tenui. Non c'è però il costante ricorso alla voce pulita del primo e all'elettronica del secondo, lasciandoli come complementi di un disco fondamentalmente sempre legato al consueto trinomio chitarra-basso-batteria. È però evidente il tocco di Brandstrom in diversi arrangiamenti, molto orientati all'immediatezza soprattutto nella struttura.
Il lavoro riprende qualcosa anche dai primi album, soprattutto nella prima parte del disco dove ritroviamo molti spunti veloci e graffianti come nello stile degli esordi (ma senza sfociare nell'imponenza di un "The Gallery", il loro disco più acclamato risalente al 1995, preferendo invece un approccio più oscuro e a volte cadenzato).
Questo apparente ritorno al passato suona paradossalmente molto più fresco, originale e creativo, dato che la fusione delle due anime riesce senza stonare e che ciò introduce molti più spunti e molta più varietà rispetto a "We Are The Void", oltre che risultare un'inversione della tendenza stilistica che si era venuta a consolidare progressivamente negli ultimi album.

"Construct" rinverdisce lo stile dei Dark Tranquillity mettendo a cuorere nuove idee, riff e giochi melodici, non suonando piatto ma anzi più ispirato di quanto possa sembrare. Tuttavia, parte del pubblico, nei momenti immediatamente successivi all'uscita del disco, è rimasto in parte deluso per il suo approccio "rallentato", percepito come non molto coinvolgente. L'album difatti manca di hit e di picchi antemici, risultando da questo punto di vista deludente rispetto ad album come "Fiction" (manieristico, ma strapieno di pezzi coinvolgenti) o ad un "Damage Done" (ricchissimo di melodie d'impatto e trascinanti). 
Per contro "Construct" si rivela robusto e ben scritto. Mantiene la caratteristica di un unicuum compatto ed omogeneo, raramente scadendo in momenti compositivamente sottotono.

La prima parte dell'album è tendenzialmente più vicina alla particolare e personale varietà di melodic-death-metal che i Dark Tranquillity avevano introdotto nei primi album, rinnovandola con piccoli giochi elettronici e preferendo un approccio più immediato e atmosferico agli eleganti intrecci e duelli chitarristici che alle volte si potevano incontrare.
L'iniziale "For Broken Words" è un aggiornamento ed ammodernamento di quegli stilemi, con riff ronzanti e atmosfere cupe che si riallacciano ai primi due album, coadiuvati da arpeggi clean malinconici che non avrebbero stonato su "The Mind's I" (del 1997) e piccole digressioni in mid-tempo che si riallacciano leggermente agli intermezzi più calmi di "Haven" (ma con meno elettronica, che comunque puntella gli arrangiamenti come ciliegina sulla torta).
Gli umori sono abbastanza cupi, si nota che gli svedesi giocano più sull'atmosfericità che sull'approccio d'impatto (pur non rinunciando a riff taglianti e a una batteria incalzante), l'aver scelto una traccia del genere come opening invece di qualcosa di molto più scatenato scopre immediatamente le carte.
"The Science Of Noise" prosegue su questi binari, sfociando in un vero e proprio tuffo nel passato mescolando ai riff thrashy à la "Character" (del 2005) e le chitarre ronzanti in stile "Skydancer" (del 1993), soprattutto da metà brano in poi. L'atmosfera è cupa e a tratti alienante, a parte che nel melodicissimo tapping dell'assolo.
Veniamo ora al primo singolo, "Uniformity", mandato avanti principalmente da piacevoli tastiere melodiche ed atmosfere dark-wave, sfociando in una power-ballad che si riallaccia questa volta a "Projector", ma con un atteggiamento più cavernoso spezzato dal canto pulito di Stanne nel ritornello dolceamaro. Un contrasto generato anche da alcuni riff magmatici e spettrali nel pre-chorus. Risulterà di sicuro un brano controverso, dato che gli ascoltatori più legati al metal duro potrebbero schifarlo.
La successiva "The Silence in Between" inizia ricordando un po' troppo gli Amorphis, per poi trasformarsi in un orecchiabile punto d'incontro fra l'impeto veloce ed aggressivo dei primi Dark Tranquillity e alcune strutturazioni chitarristiche melodiche più vicine ad "Haven".
"Apathetic" in tutto e per tutto sembra uscita dall'album "The Mind's I", difatti il songwriting è il medesimo, con tanto di attacco thrashy iniziale su sfondo di chords distorti. Suona troppo di già sentito, però come brano è abbastanza veloce e d'impatto.

La seconda parte dell'album è invece quella più "gotica", sia per quanto riguarda il contorno atmosferico/elettronico, sia per le composizioni chitarristiche, che coniugano sapientemente melodia, oscurità e aggressività anche nei momenti più prevedibili e un po' manieristici, sfruttando la cura certosina riposta dal gruppo in fase di arrangiamento.

Veniamo ora all'altro brano più controverso, "What Only You Know", un pezzo melodicissimo con riff goticheggianti relativamente morbidi, melodie intense e romantiche, ritornello irresistibile e dal retrogusto malinconico, intermezzi attenuati dove le chitarre svaniscono per lasciar spazio di nuovo alla voce pulita e ad arpeggi melodici di supporto. Lo stile compositivo emerge direttamente da "Haven" ma come sempre con meno elettronica rispetto al disco del 2000; è un brano emozionante che potrà non piacere ai puristi del lato più duro del gruppo, oppure risultare la perla melodica dell'album.
"Endtime Hearts" rimescola le digressioni melodiche di "Haven" con parti più aggressive, risultando molto orecchiabile ma meno trascinante ed emozionante del precedente brano, in alcuni casi sembrando anzi un derivato dei gruppi goth melodici nordici. L'assolo intenso la salva comunque dal risultare un po' piatta.
Una delle canzoni migliori è sicuramente "State Of Trust", che inizia con un riff inquietante per poi evolversi in un intrigante connubio fra dark-wave soffusa e malinconica, goth-metal bruciante e lievi spruzzi di elettronica che suonano un po' prevedibili ma amplificano l'atmosfera. Risulta particolarmente efficace il contrasto fra i refrain in voce pulita di Stanne e i chorus dove quest'ultima si rimescola ad un growl/scream aggressivo, salvo poi lasciar sfociare tutto in un soffuso electro-goth retto da linee vocali deliziosamente tra pop e dark nell'intermezzo dopo metà brano.
Per contro "Weight Of The End" è molto più chitarristica, riff groovy dalla corda a vuoto (già visti in alcuni casi su "Fiction"), parti vagamente industrialoidi, nuovamente i riff ronzanti nel sottofondo del ritornello che si riallacciano all'inizio del disco e pregevoli spunti melodici che sanno leggermente d'accademismo ma conferiscono un tocco di classe.
"None Becoming" è infine la consueta traccia di chiusura che enfatizza malinconia, effettistica ed imponenza sonora, sfociando alcuni degli spunti sonori più efficaci dell'album e mantenendo sempre una sensazione inquietante di conclusione di sottofondo.

Fin da subito è presente anche l'edizione speciale con due bonus tracks: la bruciante "Immemorial" consiste in un efficace pezzo goth dove si mettono in luce in particolar modo le melodie portanti (più vicine alla tradizione di melodic-death-metal più cupo di metà anni '90), la chitarra acustica nascosta e l'assolo; e la strumentale "Photon Dreams", dal sapore decadente e allucinogeno, anche se un po' monotona.

In definitiva un disco ben scritto, pregevolmente arrangiato e con diversi spunti melodici molto interessanti. I Dark Tranquillity sono un gruppo sulla scena da molti anni e che conosce il suo mestiere (ma è naturale). Raramente ha deluso, percorrendo una carriera sempre sopra la media. Construct probabilmente non soddisferà appieno chi cercava la collezione di hit trascinanti, ma noi lo consideriamo una gradita variazione di tono rispetto ad una rischiosa fossilizzazione sulle coordinate dei precedenti album, che nel precedente "We Are the Void" era suonata davvero spenta e monotona.
A quando un disco con sola voce pulita per sperimentare il risultato?

09/11/2013

Tracklist

1. For Broken Words
2. The Science Of Noise
3. Uniformity
4. The Silence In Between
5. Apathetic
6. What Only You Know
7. Endtime Hearts
8. State Of Trust
9. Weight Of The End
10. None Becoming

Bonus tracks:

11. Immemorial
12. Photon Dreams