Eminem

The Marshall Mathers Lp 2

2013 (Interscope Records)
hip-hop, rap-rock, pop-hop
6.5

Ristabilito dai noti problemi personali e di salute e “riabilitato” dal successo, perlomeno commerciale, ottenuto con l’ uno-due “Relapse” (2009) e “Recovery” (2010), Eminem ribadisce il suo status ormai praticamente inattaccabile di rap-star realizzando l’ambizioso progetto di dare un seguito, non soltanto nominale come vedremo, a quello che è a tutt’oggi il suo capolavoro: “The Marshall Mathers Lp” (2000). Ci riesce solo in parte, ma il tentativo è comunque più interessante della media dei suoi ultimi lavori e rivela una profondità, una vitalità di spunti e di temi come non si riscontrava, almeno a giudizio di scrive, dai tempi di “The Eminem Show” (2002).

Se da un punto di vista musicale, infatti, “The Marshall Mathers Lp 2” presenta il classico formato pop-rap dell’ultimo Eminem, iperprodotto e ridondante, curato in ogni dettaglio e dosato con un bilancino degno dello sceneggiatore/regista/interprete di un blockbuster hollywoodiano, intento a mettere un po’ di questo e un po’ di quello per non scontentare nessuno e raggiungere un pubblico sempre più internazionale ed eterogeneo, il flow e lo spessore delle liriche, forse il maggior pregio di Eminem come autore, ritrovano qui punte interessanti. Una scrittura finalmente più introspettiva e non incentrata sul dissing e sulla ricerca dello scandalo a tutti i costi, che finisce per assumere i contorni di una riflessione, a tratti davvero toccante, sul rapporto fra la persona e il personaggio, fra il proprio passato tormentato e l’uso dello stesso a scopi pubblicitari e sopra ogni cosa l’epifania dell’hip-hop come scelta esistenziale e unica chance di riscatto dalle miserie private e sociali. Il tutto sviluppato con una sensibilità e una maturità che non sempre lo avevano sostenuto nell’ultima fase della sua carriera.

Il contraddittorio percorso di questo Eminem “adulto”, al guado fra vecchio e nuovo, fra nostalgia di un passato (musicale) forse irripetibile e la necessità di prenderne le distanze per non lasciare ai posteri un’immagine fuorviante di sé (consapevolezza d’artista vs grand guignol mediatico da dare in pasto al pubblico: un tema che ritorna in molte canzoni), si snoda attraverso i passaggi chiave rappresentati da alcuni brani rivelatori: a fare da apripista, in tutti i sensi, è “Bad Guy”, trait d’union con l’opera eponima e sequel letterale di “Stan”, di cui riprende la splendida narrazione dal taglio cinematico (la trama: Matthew, il fratellino di Stan, oggi ventenne rapisce Eminem per vendicarne la morte), gli effetti sonori e il malinconico ritornello (stile Dido) cantato da Sarah Jaffe in contrasto con la violenza delle strofe, subito doppiata da un altro singolo ad effetto, “Rhyme Or Reason”, che inaugura l’inedita collaborazione con lo storico produttore Rick Rubin e vampirizza di fatto “Time Of The Season” degli Zombies un po’ alla maniera P.Diddy, sicuramente efficace ma decisamente passiva; sempre con Rubin dà vita poi a “Berzek”, un gustoso omaggio ai Beastie Boys e alle radici bianche del suo rap-rock blue collar e detroitiano (sonorità sfruttate poi con minore ispirazione anche nella muscolare “Survival” e nella southern “So Far”); altro brano azzeccato è il pop-hop patinato e flessuoso di “Monster” in duetto con Rihanna che introduce un’apprezzabile vena melodica su testi più sofferti e personali e che verrà ripresa con buoni risultati altrove, sfruttando il gelido e inquietante giro di piano di “Legacy” (con un altro ritornello “alla Rihanna” anche se stavolta non c’è lei alla voce), il piano elettrico e gli archi sintetici di “Asshole” e ancora in “Headlights”; un ulteriore pregevole tassello lo aggiunge con “Love Game”, brano composito e raffinato, caratterizzato dalla spumeggiante prosa in versi del buon Kendrick Lamar e da atmosfere 60s pop (il sample di “Game Of Love”, una contagiosa hit di Clint Ballard Jr).

Poco altro da segnalare, per il resto: se “Rap God” è un vertiginoso assolo di flow zeppo di virtuosismi ritmici e lessicali su una base minimalista (il tutto, forse, un po’ troppo tirato per le lunghe), “So Much Better” è il classico vaudeville gotico-circense nello stile dello Shady originale, come pure “Brainless” che deforma un giro jazzy per creare un atmosfera di suspense psicotica.

12/12/2013

Tracklist

  1. Bad Guy
  2. Parking Lot
  3. Rhyme Or Reason
  4. So Much Better
  5. Surival
  6. Legacy
  7. Asshole
  8. Berzek
  9. Rap God
  10. Brianlees
  11. Stronger Than I Was
  12. The Monster
  13. So Far...
  14. Love Game
  15. Headlights
  16. Evil Twin

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