La storia dei Lovesliescrushing è una di quelle che assumono la rappresentazione di un cerchio che inizia e si conclude nel medesimo punto. Dopo il bagliore di notorietà nella metà dei Novanta come gruppo di punta del ramo dream-pop della Projekt Records – genere che comunque interpretavano con un taglio rumoroso decisamente erede di “Loveless” dei My Bloody Valentine – Scott Cortez abbandonò temporaneamente Melissa Arpin-Dumistra per tentare di adattare il suo noise alla rivoluzione glitch.
Tornato nel 2002 a incidere come Lovesliecrushing al fianco della fida compagna, per alcuni anni – di cui 3 di silenzio - ha cercato senza successo di coniare una formula a cavallo fra il “vecchio” dream-noise e l'estetica Fennesz-iana della disfunzione unita al guitar processing.
Il fallimento dei vari tentativi su Sonic Syrup (“Glissceule”), Line (“CRWTH”) e, più di recente, Handmade Birds (“Shiny Tiny Stars”) deve avere convinto i due a fare marcia indietro: e così questo “Ghost Colored Halo” segna contemporaneamente il ritorno alle sonorità delle origini e alla Projekt di Sam Rosenthal, che licenzia a tutti gli effetti il primo full-length dei Lovesliecrushing con una tiratura regolare dai tempi di “Voirshn”. Sette brani che paiono provenire, finalmente, dalle medesime menti che partorirono la doppietta “Bloweyelashwish” - “Xuvetyn”.
Quel che differenzia questo nuovo album da quell'epoca è la quasi totale rinuncia al rumore puro: quest'ultimo tende piuttosto a scivolare sullo sfondo amalgamandosi ai vortici della chitarra di Cortez, lasciando il primo piano alla melodia e alla voce sognante di Arpin-Dumistra. A conti fatti, gli effetti dei non troppo riusciti esperimenti dell'ultimo decennio tendono a palesarsi con successo in questo ritorno alle origini: i riverberi ovattati di “Whitening Glos” ne sono la prova più lampante, assieme alla pura ambient-drone dal gusto cosmico di “Gost Colored” e del lungo finale di “Blacklight Thundering Halo”.
L'iniziale “Blemished Sunspot” e “Darklit And Crow” si configurano invece come autentici salti nel passato, fra vocalizzi sospesi e muri di chitarre in bassa definizione a flirtare con accenni di rumore. Quest'ultimo tende invece a farsi da parte nel candore dell'altrettanto nostalgica “The Tiger Hunts Alone” e a fuoriuscire con gran vigore unicamente in “The Wounds That Won't Heal”, possibile outtake di “Bloweyelashwish”.
Quello dei Lovesliescrushing è un ritorno in grandisismo stile, che per anni gli appassionati dei suoni dream avevano sognato. Pur non aggiungendo sostanziali novità al loro classico sound, “Ghost Colored Halo” torna a far brillare un marchio che col senno di poi ha probabilmente sacrificato la propria identità musicale in nome di una ricerca che avrebbe dato i suoi frutti nel futuro. Aggiornando alle tecnologie e ai suoni odierni l'estetica shoegaze nella sua accezione più eterea, Cortez e Arpin-Duimstra centrano l'obiettivo di tornare nell'olimpo al quale da tempo sembravano aver voluto rinunciare.
20/06/2013