Matt Costa

Per quanto già del tutto affrancato presso il grande circuito musicale, Matt Costa era finora apprezzabilissimo autore di un pop cantautorale tanto gradevole quanto di poche pretese; non a caso scritturato dalla Brushfire, etichetta di Jack Johnson, instancabile sfruttatore del facile escapismo verso i litorali immacolati delle sue Hawaii.
Dopo il già pregevole esordio “Songs We Sing” (per l’appunto, niente di più e niente di meno di buone canzoni da canticchiare, il che non è comunque poco) e quel che ne è seguito (il garage-pop suonato da Dylan dello scorso “Mobile Chateau”, ad esempio) non si poteva forse immaginare, però, un’evoluzione dotata dell’ambizione e della personalità di questo omonimo.

Prodotto e registrato in Scozia con Tony Doogan, il produttore simbolo di Glasgow (Belle And Sebastian e pressoché qualsiasi band scozzese di un certo rilievo vi venga in mente) e suonato con un po’ tutti i musicisti che ruotano intorno alla scena maggiore del luogo (ancora B&S, Isobel Campbell), “Matt Costa” ospita l’espressività sempre Dylan-iana del cantautore californiano (“Ophelia”), declinata ancora con sensibilità pop qui decisamente “scozzese”.
Sono infatti gli arrangiamenti orchestrali (sensu Stuart Murdoch, cioè grandiosi quanto leggeri, si vedano i fiati e gli archi spensierati del romanticismo svagato di “Early November”) a nobilitare la buona scrittura di Costa, che non si dimentica naturalmente di spingersi verso la West Coast (“Loving You”).

Il problema di Costa rimane sempre quello di una certa tendenza alla calligrafia – alla base probabilmente del suo successo piuttosto repentino, fin dall’inizio – che sicuramente non lo aiuta a elevarsi come “artista” vero e proprio.
Insomma l’emozione latita un po’, in questo “Matt Costa”, nonostante la tangibile sensibilità dei musicisti coinvolti, ma tutto sommato si tratta di un peccato veniale per un autore che si pone prima di tutto come scrittore pop.

05/03/2013