La chance è arrivata grazie alla serie francese che porta lo stesso nome dell'album - a sua volta adattamento dell'omonimo film di Fabrice Gobert - e che narra le avventure di persone morte che misteriosamente tornano a vivere, ma la cui resurrezione coincide con strani e inspiegabili avvenimenti. E altrettanto "strano", nell'accezione positiva del termine, è questo "Les Revenants": un lavoro che fa della delicatezza e della purezza il proprio tratto somatico principale, che mira al cuore per direttissima piuttosto che giungervi da strade e metafore, che accarezza anziché scuotere. Degli imponenti arrangiamenti e delle coltri strumentali a cui la band ci aveva abituato non resta quasi nulla: scomposte ai minimi termini, esse prendono la forma di lievi tocchi d'archi, dolci pioggerelle di synth e ritmi quasi accennati. Il risultato è a dir poco sublime e non dista molto dalle migliori colonne sonore di Michael Andrews (Donnie Darko su tutti), dal quale non è difficile credere che i cinque abbiano preso più di qualche spunto.
Il carillon di "Hungry Face" è l'introduzione perfetta: un'atmosfera di tensione accennata nel mezzo di un sogno, che si ripresenta più compassata nella distesa candida di "This Messiah Needs Watching", nell'inquieta "Fridge Magic" e, a discapito del titolo, nella rassegnata litania per synth e chitarra di "Relative Hysteria". Negli episodi dal clima più oscuro, il talento espressionista di Braithwaite e soci riesce ad esprimersi in maniera ancora più evidente: è il caso della dimessa "The Hurts", della melancolica "Kill Jester" e della più tesa "Eagle Tax". I pochi reflussi dei suoni post-rock si limitano invece ad affiorare nella nevrosi della conclusiva "Wizard Motor", nel crescendo etereo di "Special N" e nell'ossessiva e sinistra "Portugal", tutti brani che eguagliano quando non superano gli ultimi già splendidi lavori. Unica eccezione al mood del disco è rappresentata dal divertissement "What Are They Doing In Heaven Today?", una ballata acustica dal sapore pop-folk che a conti fatti riesce nell'impresa di non sfigurare minimamente.
I Mogwai formato soundtrack stupiscono e (in tutti i sensi) meravigliano, rivelando un ennesimo nuovo volto e aggiungendo un'altra fantastica tessera al già eterogeneo puzzle della loro carriera. In una discografia dall'incredibile intensità, "Les Revenants" va ad occupare una posizione di primo piano, affiancandosi senza mezzi termini a quei capolavori con cui il quintetto scozzese ha di fatto fondato un immaginario, prima ancora che un genere o uno stile, arrivato qui a una declinazione nuova di zecca. Da scultori di barriere spazio-temporali a base di emozioni ad acquerellisti alle prese con la decorazione di miniature intime e minuziose, in una possibile inedita via da percorrere in futuro. E poco importa se da "Young Team", di anni, ne son passati ormai sedici, perché stavolta sembra fin troppo facile a dirsi: Mogwai could really never die.
(22/03/2013)