Messi a dormire i Seabear in una notte polare che dura da un paio d’anni buoni, pare che il genietto islandese Sindri Már Sigfússon si sta dedicando anima e corpo al suo progetto parallelo Sin Fang, che nel 2011 aveva trovato una prima provvisoria quadratura nell’album “Summer Echoes”. Sindri, è bene dirlo subito, già da tempo può appiccicare sulla propria carta d’identità musicale l’etichetta di “Beck islandese” coniata da Rolling Stone, e grazie a questa ha ottenuto attenzione mediatica anche ai suoi più laterali e prescindibili ep.
Sin Fang, nato come costola semi-autarchica dei folkeggianti e impressionisti Seabear, pareva essere agli inizi (“Clangour”, a nome Sin Fang Bous, è del 2009) una deviazione sperimentale, tecnologica e volutamente bizzarra, poi è rientrato su binari maggiormente canonici e “seabeariani”, lasciando l’incertezza sulle prossime mosse del suo creatore Sigfússon e sulla foggia dell’immancabile barba che esibisce (sempre più rigogliosa) su ogni copertina.
“Flowers”, terzo album in uscita per la berlinese e scandinavofila Morr Music, ci presenta in effetti un nuovo volto – decisamente più pop, vigoroso e accessibile – della musica di Sindri (a prescindere dalla barba...). Abbandonato ormai del tutto l’approccio quasi naif degli esordi (scordatevi le oblique e qua e là stranianti mezze tinte bucoliche dei Seabear!), Sin Fang è inevitabilmente finito tra le grinfie dell’esperto Alex Somers, produttore e sodale del leader dei Sigur Ros Jónsi.
Inevitabilmente perché, in fondo, la poetica sognante e atmosferica di Sigfússon già agli esordi pareva condividere parecchi cromosomi stilistici con i celebri compatrioti e – l’Islanda è piccola – le strade prima o poi si dovevano incrociare.
Già l’iniziale “Young Boys”, con la sua ritmica franta e placidamente ingombrante e con la sovrapposizione di cori, voci, echi, rumori e samples strumentali, non può che ricordare le complesse architetture imbastite da Somers e Jónsi per il suo album solista “Go”. Sindri di suo ci mette quell’innata capacità di intessere ritornelli circolari, stralunati e cantabili al tempo stesso che conosciamo dalle produzioni precedenti, ma anche in un pezzo più dinamico e geometrico come la successiva “What’s Wrong With Your Eyes” è evidente come l’idea di fondo del nuovo Sin Fang sia ormai ben lontana dal folk e spinga invece sul pedale di un pop dai solidi pilastri tecnologici, in cui ogni spazio vuoto è riempito di morbidi arabeschi sonori, dove synth e inserti d’archi e fiati convivono nello stesso elaboratissimo tessuto e persino la voce di Sigfússon non è mai apparsa così formalmente levigata.
Con onirica e calcolatissima grazia, Sin Fang coglie i numeri migliori fra la delicatissima e suadente solennità di “Look At The Light”, il romanticismo della mesta ed emozionante “Feel See” e il battito impetuoso e corale di “Catcher”, cercando espedienti formali per rendere le sue canzoni ad un tempo immediate e inafferrabili: promette solenni crescendo e li fa svanire nell’aria, si interrompe e riparte, spoglia la voce e la ricopre di glassa, scioglie miele negli archi e lo distilla in cori beachboysiani, spezzando e ricomponendo frammenti pop di suggestiva emotività.
Il rischio – quello di imitare i luccicanti sipari zuccherini degli ultimi Coldplay – è appena dietro l’angolo (e “Not Enough” possiede tutto il corredo di chitarre e melodia per omaggiare Chris Martin), tuttavia Sindri e Alex sembrano tenere ben saldo il timone sonoro di “Flowers”, dosando con intelligenza gli ingredienti e concedendosi anche una piccola imprevista fuga elettrica nella muscolare three minute song “See Ribs”, che sembra rubata ai Radio Dept. o ai Cats On Fire.
Niente più colori pastello insomma, nessun etereo paesaggio acustico, niente più spontaneismo artigianale: i “Fiori” di Sin Fang crescono in una serra postmoderna, illuminati da una luce tanto calorosa e costante quanto artificiale, concimati e curati da abilissimi giardinieri, intrecciati in ghirlande multicolori pronte a stupire gli occhi del pubblico.
Rispetto al passato qualcosa forse si è perso, e non tutto convince nei dieci episodi dell’album, ma Sindri non è un artista che ama stare con le mani in mano e ci spiegherà senz’altro che questa non è che una fase della sua inarrestabile evoluzione. E noi, considerando il suo indiscutibile talento, non potremmo in fondo che dargli fiducia ed aspettare la sua prossima metamorfosi.
23/01/2013