Disinvolti ed eleganti, i Kingsbury Manx hanno costruito con parsimonia la loro carriera discografica, modificando leggermente il loro mix di folk e pop dalle tenui tinte psichedeliche.
Dopo un esordio ricco di spunti, il gruppo ha evitato l’instant-replay tipico delle band baciate da un inatteso successo, calibrando la scrittura e coinvolgendo nomi illustri come Mikael Jorgensen dei Wilco.
Quattro anni dopo il loro quinto progetto discografico “Ascenseur Ouvert!”, la musica del gruppo americano suona ancora fresca e confortevole, nonostante i continui richiami a Simon & Garfunkel e Byrds: quello che però sembra mancare in “Bronze Age” è un'ipotesi per un'evoluzione futura del loro sound. Cristallizzata e quasi prevedibile, la musica dei Kingsbury Manx resta in attesa del colpo di coda che rimetta in carreggiata l’ascoltatore distratto o appena cullato dal sound morbido e riflessivo del gruppo, cosa che avviene in rari momenti di questo nuovo album.
Meno avventuroso e più incline al pop del precedente progetto, il disco si sostiene su alcuni momenti felici e ricchi di suggestioni come la deliziosa ballad “Concubine”, centra la perfezione in “How Things Are Done”, con un malinconico folk-rock ricco di pregevoli finiture strumentali, e diverte con grinta con il beat-psych-folk di “In The Catacombs”.
I Kingsbury Manx si sono distinti in passato per la loro capacità di passare dal folk-pop al folk-rock senza problemi, ma l’ultimo progetto confonde le acque, cercando di far combaciare due anime spesso in rotta di collisione in episodi poco lucidi come “Solely Bavaria” e “Future Hunter”, indugiando in armonie carezzevoli e risapute come in “Glass Eye”.
Resta comunque da sottolineare la pur piacevole fruibilità della loro musica: “Bronze Age” non è il loro album più riuscito e completo, ma la presenza di alcune stand-out-track gia citate, unita alla freschezza di episodi come “Handsprings”, può essere un buon motivo per passare un pomeriggio in compagnia della loro musica.
26/05/2013