Tribes

Wish To Scream

2013 (Island)
alt-pop

Bei tempi quando le gite premio venivano elargite dopo una promozione, magari corredata da qualche buon voto. Oggi una pacca sulle spalle, una carezza, un abbraccio non si negano a nessuno, neanche ai lucignolo della situazione e, anzi, rappresentano solo l’abbrivio per qualcosa di più consistente. Zaino in spalla, torna presto, non farti male e via con l’avventura? Ma neanche per idea. Un bel biglietto di prima classe e si vola destinazione sogno americano.
Una mossa repentina, troppo celere, magari anche non salutare se non sei abituato all’alta quota. Specie se il pilota si mette in testa di improvvisare qualche manovra spettacolare: un paio di capriole e quando finalmente arrivi a destinazione, neanche il sacrosanto jet lag potrebbe giustificare l’idea di sentirsi figlio di una cultura che non solo non ti appartiene, ma che in fondo non conosci; se non per sentito dire.

Senza per forza di cose scomodare i classici e obsoleti schemi del sangue sudore e lacrime, sinteticamente chiamati gavetta, è indubbio che Johnny Lloyd e compagni abbiano bruciato un po’ troppo le tappe, da Camden alla copertina del Nme sino all’approdo negli studi di registrazione di LA, il tutto senza neanche passare dal via, però facendo un sacco di danni, tipo dare l’impressione di avere le stimmate per rileggere una tradizione avendo guardato solo le fotografie.
Siamo nei pressi di un certo pop-rock cantautoriale fintamente rabberciato, con influenze folk certificate da un uso intenso della chitarra acustica, con la tendenza ai cori da arena (sognata e sperata), senza dimenticare il condimento di un pianoforte boogie alla Nicky Hopkins, le elettriche che, come si suol dire, macinano i chilometri su qualche highway, le aperture di organo e la raucedine prontamente allenata del succitato Lloyd.

Ne sono uscite fuori addirittura sedici canzoni. Una logorrea di stampo adolescenziale, confermata dalla struttura narrativa dell’album che pare rifarsi a un diario di bordo, impressione ratificata dai titoli delle canzoni così smaccatamente plateali. Elemento sorpresa azzerato anche sul fronte armonico-melodico. Johnny che cammina da inglese in fuga sulla Sunset Boulevard, ma ha dimenticato di allacciarsi le scarpe, inciampa, fa finta di nulla, chiude gli occhi e canta a squarciagola immaginandosi un coro gospel in risposta, fregandosene dell’educazione e degli sguardi di scherno.
Johnny il bello che sogna di finire nei pressi di un tappeto, magari rosso, mentre una slide guitar “impreziosisce” un fitto colloquio tra hammond e acustica, e perché non infilarci anche un mini-solo di sax solare come il cielo sopra Hollywood? Avete mica sentito parlare di Graceland? Johnny lo spettinato certo che sì, ma non ve lo farà pesare. C’mon Susie, it’s gonna be all right, te lo dice Johnny il galante che poi ti invita a un guancia guancia in qualche “Street Dancin’” di terza categoria, ma con un accompagnamento musicale che sembra vero, degno di una buona cover band. Te la do io l’America?! Johnny perdonami, ma preferisco dare un altro sguardo alla mia Lonely Planet.

29/05/2013

Tracklist

  1. Dancehall

  2. Get Some Healing

  3. How the Other Half Live

  4. Wrapped Up In a Carpet

  5. Never Heard of Graceland

  6. It Never Ends

  7. Looking for Shangri-La

  8. Sons and Daughters

  9. One Eye Shut

  10. Englishman On Sunset Boulevard

  11. Street Dancin’

  12. World of Wonder

  13. Here On Earth

  14. What’s Your Poison

  15. Reincarnate

  16. Blind

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