Due anni d'attesa per il secondo lavoro degli Alt-J; un biennio per confermare o smentire le attese, per ritagliarsi un posto d'eccezione nell'affollata costellazione delle piccole-grandi band alle porte del mainstream. In buona sostanza, per non toppare l'approccio al secondo album che, a detta di tutti, è sempre il più difficile.
Iniziamo subito con un paio di doverose premesse. "This Is All Yours" non è affatto un disco brutto, ma non è neanche quel capolavoro totale che in molti, forse non proprio a ragione, si aspettavano. Quella che ascolterete in questi cinquanta minuti sarà la cronaca sfocata e rarefatta di un viaggio verso (e attraverso) la città giapponese di Nara, suggestivo rimando alla libertà dell'uomo e all'eterno legame con la natura che lo circonda e, spesso, lo distrugge.
E come la metropolitana emancipazione dei cervi di Nara, animali venerati nell'antica capitale nipponica e lasciati liberi di girare indisturbati per i parchi della città, anche noi avvertiamo a tratti un senso di arcaica e viscerale emancipazione dalla nostra frenetica quotidianità, specialmente negli episodi più riflessivi e acustici del disco.
Un ritorno alle origini, una fuga dal caos opulento della città. Queste sono le coordinate e gli intenti di "This Is All Yours". E così ci lasciamo prendere per mano dall'alt-folk scheletrico di "Pusher", dai toccanti barocchismi pastorali di "Warm Foothills", dall'arrivo e dalla finale dipartita dal lontano Giappone ("Arrival In Nara" e "Leaving Nara"), cullati dolcemente da vocalizzi e melodie diluite e dilatate che tradiscono un palese ancorché apprezzato richiamo a Bon Iver e Fleet Foxes.
Dicevamo quindi del contatto con la natura e con la storia più o meno antica. Un approccio sottolineato dagli echi medievali che emergono in "Every Other Freckle" (riuscito cortocircuito spazio-temporale fra gli antichi villaggi inglesi e la caotica modernità delle nostre metropoli) e dai sample di campane, uccelli e insetti che ci riportano alle scene bucoliche dei Grandchester Meadows, tanto per restare in tema con Cambridge e con "quell'altra band dei triangoli".
Le atmosfere si fanno più scure e sintetiche nel singolone "Hunger Of The Pine", impreziosito (?) dal campionamento di un verso di Miley Cyrus, mentre l'ariosa orchestrazione di "Bloodflood pt.II" contiene talmente tanti richiami a sonorità diverse (Daughter, Sigur Rós, Four Tet) che alla fine non riesce a darsi dei contorni ben definiti e rimane nell'odioso limbo del "vorrei ma non posso".
E così, forse, abbiamo identificato il vero problema degli Alt-J. Una band certamente dotata di potenzialità, di coraggio e di quella giusta dose di coolness facilmente spendibile, ma che fatica ancora a trovare il proprio personale focus creativo. Questo "This Is All Yours", se per certi versi può esser considerato un album più maturo e profondo rispetto al suo predecessore, proprio per questo suona ancora troppo annacquato, distante e, a tratti, addirittura capzioso. Provate ad ascoltare "Choice Kingdom" senza sbadigliare, per tacere dell'insipido ed evitabilissimo blues-rock di "Left Hand Free".
Nonostante queste considerazioni all'apparenza distruttive, restano gli sparuti bagliori e le emozioni evocate da piccole gemme come "Nara" e la già citata "Warm Foothills". Ecco perché la tanto temuta "prova del due", seppur parzialmente, può dirsi superata.
(24/09/2014)