Autumn Defense

Fifth

2014 (Yep Roc)
soft-rock, americana

Mentre Nels Cline e Glenn Kotche continuano a imperversare con le rispettive – audaci – esplorazioni avant, e i pur lontani esercizi collaterali di Jeff Tweedy (Loose Fur, Minus 5, ma soprattutto Golden Smog) si ricordano tuttora come esperienze di assoluto pregio, sarà senz’altro sfuggito ai più che in casa Wilco anche il bassista (cofondatore) John Stirratt e il terzo chitarrista Pat Sansone coltivano da tempo un’esistenza musicale parallela. La ragione ultima di questa loro sostanziale invisibilità va ricercata nel fatto che, dopo quindici anni di servizio e ben cinque tentativi sulla lunga distanza, i due Autumn Defense non sono mai stati in grado di pubblicare qualcosa di veramente indimenticabile. Non riesce nell’impresa, lo chiariamo subito, neanche l’ultima delle loro fatiche di coppia, “Fifth”, che tra chitarre al velluto e dolci impasti vocali a profusione non fa mistero di voler riproporre senza novità alcuna la medesima formula, non troppo personale, che aveva dato i suoi frutti migliori nel discreto sophomore “Circles” (2003), e che da allora è diventata per il gruppo una sorta di irrinunciabile dogma espressivo. Ascoltare oggi il duo di Chicago riporta alla mente le più bonarie tra le pagine della lunga pastorale alt-country dei Jayhawks, ma ancor più certi insipidi passaggi degli ultimi Teenage Fanclub e – puntuali – i Fab Four, come quando la loro proverbiale cordialità si adopera per tracopiare il McCartney dell’ultimo ventennio (This Thing That I’ve Found”). E i Wilco? A cercarli bene li si trova, eccome, ma sono quelli oleografici della tarda maturità (“I Can See Your Face”, “Things On My Mind”), purtroppo.

Come d’abitudine nel loro caso, la confezione è ricercata e impeccabile, ben più rimarchevole di una scrittura che non riesce mai a elevarsi dalla norma di una calligrafia levigata quanto scolastica, priva di guizzi che siano qualcosa più che gli immancabili festoni elettrici curati da Sansone. Ancora una volta si profila insomma un lavoro estremamente gradevole e nel contempo assai scarso in quanto a mordente, raffinato ma pallido. Non c’è scelta che non tradisca gusto, se ci si sofferma sugli arrangiamenti, ma anche una prevedibilità non proprio ininfluente, quell’accento garbato e monocorde da artisti più appagati che appaganti. Il disco si dimostra interessante a dir tanto per la regolarità della sua veste azzimata e diligente, da mestieranti di classe: davvero troppo poco per farsi apprezzare. Ne è un emblema il delicato minimalismo di “I Want You Back”, moina folk dai contorni flou che indugia nel melenso e odora di cloroformio. Registro prossimo al paradigmatico, quest’ultimo, da calma piatta. Un canovaccio cui si rinuncia di rado. Magari in favore di un pop pianistico pure al calor bianco (“Calling Your Name”), che riesce appena in un’esangue replica della band principe, maldestramente ravvivata dai fiati e da un falsetto poco convincente; oppure strizzando l’occhio a un’edulcorata bossa nova delle loro (“Why Don’t We”), ennesima celebrazione del carino stereotipato cui manca il coraggio per evadere dalla propria acclarata comfort zone.

E’ leggero e amabile sin quasi alla caricatura, il nuovo Autumn Defense. Nella sua flemma il confine tra eleganza e stucchevolezza diviene labile molto presto, le melodie si segnalano esclusivamente per la loro ovvietà mentre non viene mai concesso margine a una digressione che non sia puramente ornamentale. Il trionfo del politicamente corretto applicato a un easy-listening di geriatrica concezione: lindo e calibrato fino a sembrare un duplicato anastatico di originali già ampiamente risaputi e insieme vaghi, eppure soverchianti. Non entusiasma che due validi professionisti come Stirratt e Sansone si limitino a gratificare l’ascoltatore con ritmi placidi e sobrietà a tutto campo. Il risultato, ancorché carezzevole, tende a funzionare soltanto come fondale per quelle occasioni in cui si sia impegnati in tutt’altra attività: pregevolissima musica-tappezzeria insomma, se ci si accontenta. La qualità di questa dozzina di canzoni è meramente luministica, pittorica. Lavorano in modo egregio come tenui impressioni sonore, calate tutte intere in una tradizione che non è mai solo Americana o britannica. Al di là di questa valenza per così dire sinestetica, anche questo “quinto” Autumn Defense non ha però molti altri argomenti, e si lascia riassumere adeguatamente da un congedo che vale come sublimazione di cotanta leziosa maniera. Un album che sarebbe ingiusto definire brutto, quando è “inutile” la parola che meglio di ogni altra lo rappresenta.

Il successo, se vogliamo, sta nell’essere riusciti a spingere così in avanti un side-project a tratti anche meritevole. Traguardo senz’altro prezioso per il proprio diletto personale, nella forma di un rilassato esercizio di emancipazione, anche se la lista dei meriti termina dove comincia, con questa semplice constatazione.

09/02/2014

Tracklist

  1. None of This Will Matter
  2. This Thing That I’ve Found
  3. I Can See Your Face
  4. I Want You Back
  5. Calling Your Name
  6. Can’t Love Anyone Else
  7. August Song
  8. Under the Wheel
  9. Why Don’t We
  10. The Light In Your Eyes
  11. Things On My Mind
  12. What’s It Take

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