È una declamazione alquanto scenografica di testi che sembrano litanie apocrife, versi dimenticati, ad animare l’esordio su Lp del duo Barren Harvest, composto da Lenny Smith (Atriarch) e Jessica May (Worm Ourobouros). Almeno parzialmente ispirato alla poesia sufi di Rumi, “Subtle Cruelties” evoca un mondo inaridito e atemporale, come in un’eterna dannazione dell’anima, sola nella nebbia, e lo fa con un suono lugubre, tra rintocchi di pianoforte e impietose stilettate acustiche, immersi in fumose, gravi note sintetiche.
Il tono del disco divaga così tra la danza scheletrica di “The Subtle Cruelty Of Spring” (forse la più Tibet-iana dell’album) e l’elegia rassegnata e spiritica di “The Bleeding” e della lunga “Reveal”, fino all’armonizzazione gotica, demoniaca di “Memoriam VI”.
La stucchevolezza è sempre dietro l’angolo, date anche le interpretazioni vocali non certo “dimesse”, soprattutto da parte del cavernoso Lenny, ma “Subtle Cruelties” riesce comunque a tenersi a debita distanza dal kitsch – una certa dose di sospensione dell’incredulità è comunque richiesta, però, per solcare le acque immerse nella foschia del disco e, magari, trovare in fondo la luce.
18/05/2014