Cinerama

Seven Wonders Of The World

2014 (Scopitones)
new wave, indie-pop

Anche i segreti meglio custoditi ogni tanto riaffiorano dall’oblio.
Ultimo caso in ordine di tempo è quello dei Cinerama, la band di scorta di David Gedge cui fu ordinato il “rompete le righe” più di dieci anni fa e che oggi, a quanto pare, sta per destarsi dal proprio letargo. A breve uscirà un nuovo album che dovrebbe essere, almeno in parte, il rifacimento dell’ultimo dei Wedding Present, “Valentina”, con arrangiamenti in linea con questa più quieta e – lo suggerisce il nome – cinematografica incarnazione (già manifesta negli omaggi del passato a John Barry ed Ennio Morricone). Per ingannare l’attesa, ecco a sorpresa una raccolta che assembla B-side, outtake già pubblicate su Ep e rarità varie, compresi alcuni “classici” del gruppo non cantati in inglese. Buona parte del materiale di questa che, conti alla mano, è la terza compilation della compagine di Leeds (esclusa quella tripla con tutte le Peel Sessions) risale alle registrazioni del sin qui ultimo Lp pubblicato, “Torino” (2002), curate nientemeno che da Steve Albini. Inutile dire che si tratta di un’ottima occasione per riscoprire una realtà tra le più interessanti e invisibili, negli anni in cui nel Regno Unito andavano in scena gli ultimi fuochi del britpop.

La melodia garbata, i field-recording urbani e poi quei violini che orientano le tonalità verso l’imbrunire, particolarmente mite e terso: è tutto un gioco di (false) introduzioni, quello di “Health And Efficiency”, cornice in cui Gedge affabula con il cuore in mano e la sola forzatura di qualche bell’affondo elettrico. In un quadro di pulizia rigorosa, le incursioni rumoriste suggeriscono per sommi capi la hybris dell’autore inglese, la sua vena più autentica e sanguinante. Non occorrerà molto ai novizi per registrare l’influenza – poi accreditata o meno – che questa band ha avuto, tra gli altri, sui nostri Perturbazione o sui Clientele, specie nella sintesi vitalissima di frangenti ariosi e fratture soniche.
Ancor più emblematica è però la versione più povera, in francese, dello stesso brano, in veste acustica, con tastiere, e percussioni al posto della batteria. Il tono da languido seduttore, non da oggi nel bagaglio dell’artista, accentua qui l’impronta di raffinato divertissement del disco, mentre l’incontro tra la consistenza terrena delle chitarre e le evocazioni “aeree” degli archi rafforza il legame di parentela con un’altra formazione in forte credito di notorietà, gli scozzesi Ballboy. L’approccio con la lingua transalpina riesce se possibile ancor più sensuale nella relativa trasposizione di “Lollobrigida”, dove fisarmonica e vibrafono strizzano l’occhio alla formula della moderna Chanson (à-la Benjamin Biolay) e David mostra, nell’inseguimento a certa mitologia sixties, di poter insegnare parecchio persino a Belle & Sebastian ed epigoni.

Anche con materiale – per così dire – di recupero, la proposta dei Cinerama risulta assolutamente limpida, scintillante. La loro conformazione espressiva resta saldamente ancorata agli anni 90 per come fa tesoro della fisicità dei suoni, di impurità non limate, dettagli legnosi, l’aspra purezza del metallo delle corde, il drumming secco e felpato. E’ però nel decennio precedente che vanno ricercate le loro radici. Negli Smiths, ad esempio, verso i quali i debiti sono sempre parsi evidenti pur senza mai esaurirsi in banali scopiazzature, a riprova di un atteggiamento aperto e di una propensione del tutto personale nei confronti dell’attualità musicale, non di rado approcciata con spirito da riformatori: questo spiega perché la loro sia una sorta di new wave suonata da indie-rocker con un’anima essenzialmente pop. Gedge si conferma songwriter maiuscolo proprio per quel suo saltabeccare tra generi e umori quanto mai distanti tra loro, con aderenza e intensità sempre opportune. Così nella piccola gemma intimista “This Isn't What It Looks Like”, miracolo d’equilibrismo infettato da sottili seduzioni folkloriche; così nella cover di una celeberrima canzone dei primi Settanta, “Diamonds Are Forever”, che tradisce la passione per le pellicole dello stesso periodo; e così l’indie-pop marezzato di “Swim”, con spigoli di basso e chitarra che parrebbero la firma di una band post-hardcore coeva.

Il minimo comune denominatore in queste canzoni è sempre l’incrocio tra le due nature del gruppo, particolarmente efficace quando l’easy-listening in tonalità pastello viene esacerbato dai feedback (“Quick, Before It Melts”), quando il dinamismo prezioso riporta in zona McIntyre (“Erinner Dich”, “On-Off”), nell’irrequietezza genuina che ricorda il Lou Barlow meno slacker (“The One That Got Away”) o nelle abbaglianti vampe in cui il romanticismo del frontman e della sua compagna di allora, Sally Murrell, ha modo di esprimersi a briglia sciolta, senza indugiare in pose sterili (“Sparkle Lipstick”).
Anche il taglio minimalista e slowcore qua e là adottato non limita il calore e le dolce lacerazioni della casa: lo dice chiaramente “Don't Touch That Dial”, episodio che svela affinità spirituali sorprendenti con il Robin Proper-Sheppard degli anni d’oro e spalanca le porte a un autunno sontuoso.
Sono questi i Cinerama che preferiamo, quelli della versione quietamente estatica della vecchia “Ears”. La posa da contemplativi dell’ex-coppia di Leeds regala un ventaglio di suggestioni notevoli nella loro fragranza non adulterata. Un bell’esempio del potenziale di incanti nel patrimonio stilistico di una band colpevolmente sottovalutata, ai tempi.
Per un pur tardivo ripescaggio dal dimenticatoio è forse è giunta l’ora, alla fine. 

17/01/2015

Tracklist

  1. Health And Efficiency
  2. Swim
  3. Diamonds Are Forever
  4. Health And Efficiency [Version Francaise]
  5. Lollobrigida [Version Francaise]
  6. Quick, Before It Melts
  7. Ears [Acoustic]
  8. As If
  9. Careless
  10. This Isn't What It Looks Like
  11. Sparkle Lipstick
  12. Don't Touch That Dial
  13. The One That Got Away
  14. On-Off
  15. It's Not You, It's Me
  16. Erinner Dich
  17. I Wake Up Screaming
  18. Unzip [Live At The Edge Of The Sea]


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