Eugenio Finardi

Fibrillante

2014 (Universal)
songwriter, pop

“Un disco di lotta contro un nuovo Medioevo”. Con questa definizione-invettiva Eugenio Finardi ha presentato “Fibrillante”, il suo ritorno alle canzoni in italiano, dopo 16 anni di esperimenti che lo hanno visto spaziare dal fado al rock, dal blues alla classica contemporanea (l’ultimo lavoro era “Accadueo”, 1998). Un ritorno che sembra quasi sollecitato dalla necessità di raccontare un’Italia che ribolle di miseria e ingiustizie sociali. Come su “La storia di Franco”, ispirata alla vicenda amarissima di un ex-discografico che Finardi ha realmente incontrato a Milano, ridotto a chiedere l’elemosina e a piangere l’assenza di contatti con la figlia da cinque anni.

Il cuore fibrillante di Finardi, insomma, è rimasto lo stesso degli anni 70, quello che non ha paura di “mollare le menate e di mettersi a lottare”, anche se ormai gli “ideologi cresciuti alla Bocconi” lo hanno derubato di tutti i sogni della sua generazione (“Cadere sognare”, j’accuse sulla disoccupazione in duetto con Manuel Agnelli). A differenza di tanti colleghi dei Seventies, il menestrello della “Musica ribelle” non ha ammorbidito la sua indignazione, ma al tempo stesso non ne ha mai fatto una posa: Finardi resta un extraterrestre, un outsider, distante anni luce dall’ingessata nomenclatura del cantautorato italiano, quella che magari sfila al Premio Tenco e si mimetizza in quella “società civile” contro cui il Nostro si scaglia con donchisciottesca virulenza.
Quel che può appare ormai ideologico e populista a un’audience contemporanea che ha ormai affogato nel cinismo e nel nichilismo ogni traccia di incazzatura (“tutto ciò per cui lottavo ora sembra inutile”), per Finardi resta materia viva, palpitante. Novello “Savonarola”, il cantautore dal sangue italoamericano continua a professare il suo umanesimo e grida a squarciagola le sue “inutili parole”, senza arrendersi ai vincitori: “I culi stanchi, gli arrivisti, gli arroganti che più falsi non ce n’è” (“Savonarola”), oppure gli ignavi, quelli per i quali “tutto scorre ma tu non ci sei” e “ogni idea di cambiamento”, “ogni afflato o movimento” finiranno inesorabilmente in un vicolo cieco (“Moderato”).

Chi crede che la canzone di protesta non abbia più senso, quindi, si tenga a debita distanza da questo disco. A meno che non sia disposto a lasciarsi incantare da una delle voci maschili più belle della musica italiana – con le sue sfumature di dolcezza e vigore ad alternarsi armoniosamente – e a meno che non sia curioso di dare un ascolto a questo singolare melting pot generazionale partorito dagli studi torinesi - tra Mirafiori e via degli Artisti - in cui “Fibrillante” è stato registrato. Oltre alla produzione di Max Casacci dei Subsonica e alla collaborazione in sede di scrittura di Giovanni Maggiore, ad arricchire il progetto hanno provveduto anche Manuel Agnelli degli Afterhours, Vittorio Cosma (ex-Pfm), Patrizio Fariselli degli Area e perfino due dei Perturbazione. Il risultato è un suono che incrocia l’indie-rock tricolore degli ultimi vent’anni (con climax adrenalinico nella title track) con le venature elettroniche di matrice Subsonica e lo spirito folk di Finardi, uno cresciuto nel mito della scuola americana dei Pete Seeger e dei Woody Guthrie.

Il cantautore milanese si conferma anche uno splendido osservatore dell’universo femminile: dopo prodezze come “Laura degli specchi”, “Patrizia” e la più recente – e non meno bella – “Un uomo” (1996), ora è la volta di "Le donne piangono in macchina", altro saggio di rara sensibilità maschile applicata all’altro sesso. E non manca anche qualche residuo dell’epopea Cramps (la storica etichetta degli anni 70 di Gianni Sassi), come la conclusiva “Me ne vado”, sorta di cronistoria economica in spoken word che omaggia gli Area di “La mela di Odessa”, con tanto di ipnotizzante assolo psych-jazz di Fariselli.

Non è un caso che Finardi sia diventato un riferimento per la nuova generazione di indie-rocker (lo stesso Pierpaolo Capovilla del Teatro degli Orrori lo ha riconosciuto, partecipando anche come ospite ai suoi concerti). Perché, al netto di qualche cedimento alla retorica dei 70’s, la sua musica ribelle è sempre vera, autentica e, soprattutto, curiosa di confrontarsi con nuove sfide inter-generazionali. Anche se il suo bagaglio di melodie e di intuizioni non è lo stesso di qualche anno fa, l’autore di classici come “Sugo” e “Diesel” resta per questo un esempio raro in una scena musicale troppo spesso asfittica e autoreferenziale come quella italiana.

23/03/2014

Tracklist

  1. Aspettando
  2. Come Savonarola
  3. Lei s’illumina
  4. Cadere sognare
  5. La storia di Franco
  6. Fibrillante
  7. Le donne piangono in macchina
  8. Fortefragile
  9. Moderato
  10. Me ne vado

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