Giant Squid

Minoans

2014 (Giant Squid Music)
doom-metal, progressive

I californiani Giant Squid sono la creatura del chitarrista e cantante Aaron John Gregory e propongono sin dal primo album, “Metridium Field”, del 2004, un interessante mix di doom, progressive e sperimentazione, condito dalla presenza fissa in formazione della violoncellista Jackie Gratz a partire da “The Ichthylogist” del 2009. Quest’ultimo “Minoans”, concept focalizzato sull’ascesa e la caduta della civiltà minoica a Creta, prodotto da Tim Green (Melvins, Fucking Champs), risulta essere il loro lavoro più riuscito: se i dischi precedenti peccavano di esagerata prolissità e le idee migliori finivano per disperdersi, nelle presenti 8 tracce, 44 minuti totali, sono pochi i momenti di noia.

L’apertura è affidata alla title track, tra cori femminili, delicati arpeggi e tastiere che creano un’atmosfera tanto solare quanto straniante, fino all’esplosione della chitarra distorta, dal timbro “profondo” persino per gli standard del genere. La voce di Gregory ricorda vagamente Serj Tankian, sia nel timbro che nello stile medio-orientale dei vocalizzi. La sua versatilità si rivela però quando si abbassano i toni in “Sir Arthur Evans” e sembra di sentire Steve Von Till nei momenti più riflessivi dei Neurosis, sicuramente uno dei gruppi di riferimento dei Giant Squid; la presenza della seconda voce femminile rende il tutto ancora più atmosferico.
“Sixty Foot Waves” è un brano dal ritmo sorprendentemente catchy sul quale la band opera in maniera corale per costruire una progressione fino allo stacco di tastiere e violoncello soli, preludio alla deflagrazione finale che raggiunge picchi quasi thrash: probabilmente l’episodio più interessante del lotto, con una melodia che sembra evocare atmosfere est-europee, caratteristica già presente in alcune delle composizioni migliori del disco precedente. “Mycenaeans” presenta una intro di bouzuki e un’interazione chitarra-violoncello nel costruire melodie orientaleggianti sullo stile degli Om di “Advaitic Songs”. “The Pearl And The Parthenon” è una bel lento con tastiere in primo piano e un intenso dialogo tra voce maschile e femminile, un pezzo che sarebbe funzionato benissimo anche senza l’inutile impennata heavy finale.

Questi i pezzi migliori, che vengono purtroppo accompagnati da quasi altrettanti trascurabili riempitivi; i Giant Squid non riescono a trattenersi dal dilungarsi inutilmente, ma la riduzione della durata dell’album rispetto al passato e il complessivo ammorbidimento del sound fanno ben sperare di avere davanti un disco di transizione. Le potenzialità compositive ed esecutive ci sono tutte, l’ideale sarebbe la definitiva liberazione dai cliché di un genere come il post-doom-metal che ha nella noia il suo peggior nemico; risultato forse ottenibile lasciando più spazio agli elementi specificamente progressive della loro proposta musicale.
Una nota di merito va alla capacità della band di coinvolgere nella storia che fa da sostrato ai brani: la musica, che riesce a evitare la stucchevolezza nell’utilizzazione di soluzioni armoniche orientaleggianti, è evocativa quanto i testi, storicamente accurati e tutt’altro che scontati. A detta del leader, questo “Mynoans” formerebbe con i due precedenti album una trilogia a tema “acquatico”, in cui a dir la verità il primato per la complessità contenutistica va a “The Ichthyologist”: ogni canzone, oltre che al suo titolo, era associata al nome latino tassonomicamente accurato di una specifica creatura marina!

14/03/2015

Tracklist

  1. Minoans
  2. Thera
  3. Sir Arthur Evans
  4. Palace of Knossos
  5. Sixty Foot Waves
  6. Mycenaeans
  7. The Pearl and the Parthenon
  8. Phaistos Disc

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