Ormai, l’arrivo dalla Gran Bretagna di una nuova proposta che riprenda il filone dell’ambizioso art-pop iniziato sul finire del decennio scorso è un evento che si ripete periodicamente. Arrangiamenti strapieni di elementi diversi e non necessariamente riconducibili al pop-rock, una grande varietà ritmica, un timbro vocale enfatico e che predilige tonalità acute, un risultato complessivo che punta ad avvolgere l’ascoltatore con un suono denso e di alto profilo. Ovviamente, più una strada è battuta, più alto è il rischio per i nuovi arrivati di cadere nel già sentito, pertanto è questo l’aspetto che senz’altro interesserà maggiormente il lettore. Che infatti una band sia brava a realizzare canzoni secondo le idee specificate sopra non basta più, perché ormai ce l’hanno fatta in tanti: chi arriva dopo merita un ascolto solo se riesce a far sì che le canzoni non siano una copia di quanto già fatto, ma contengano dei punti di forza nuovi.
I Glass Animals da Oxford sono al disco di debutto e si inseriscono perfettamente in questa corrente, però riescono a elaborarne i canoni stilistici con un filtro proprio. Una delle caratteristiche comuni ai gruppi del filone specificato è la necessità di alcuni ascolti di ambientamento prima di riuscire a apprezzare il lavoro nel suo complesso; “Zaba”, invece – così come gli Ep che l’hanno preceduto – è decisamente immediato e di ascolto molto facile: le melodie emergono in modo evidente già dal primo passaggio nel lettore e la capacità del suono molto ricco di valorizzare le suddette melodie senza coprirle è subito cristallina. Non è necessario che i primi ascolti siano di ambientamento, prima di farsi trascinare dalla combinazione tra suoni, ritmi e melodie: la forza dell’interazione tra i suddetti elementi arriva immediatamente con grande efficacia.
Ovviamente, per ottenere questo risultato, le melodie sono molto aperte e in grado di far presa, e il suono ha una densità minore rispetto alla media del genere, però sarebbe limitante liquidare un disco del genere come una versione più pop dei vari Wild Beasts o Alt-J. La complessità della struttura ritmico-sonora, infatti, non è certo inferiore a quella delle band sopra citate e non tutte le pregevolezze si colgono al fatidico primo ascolto, ma ad ogni ulteriore passaggio ci si sente sempre più immersi nelle atmosfere molto evocative e avvolgenti dei singoli brani.
Andando ad analizzare il disco in modo più specifico, i brani si dividono sostanzialmente in due categorie: quelli in cui il nucleo della canzone fatto dalla linea vocale e da pochi elementi sonori è più visibile e il resto del suono rimane più sotto, in modo comunque da dare un proprio contributo; e quelli nei quali, invece, tutti gli elementi sono sullo stesso livello per creare un insieme più articolato e colorato. Entrambe le categorie si dividono poi in ulteriori sottogruppi, e in entrambi i casi alcune canzoni sono votate a una certa serenità emozionale e danno tranquillità e vibrazioni positive (“Black Mambo” per la prima categoria e “Pools" per la seconda, ad esempio), mentre altre sono più vellutate e velate di scuro (rispettivamente “Toes” e “Hazey”). La tracklist alterna sapientemente i quattro sottogruppi e contribuisce a creare un insieme organico e coerente.
Non è per niente facile trovare un equilibrio così preciso tra apertura melodica, leggerezza del suono e complessità della struttura, ed è quindi il caso di salutare con favore l’arrivo di questa nuova band e di consumare di ascolti il disco, che non stanca mai e si appiccica alla mente come il più immediato dei dischi pop, quando di pop non ha molto.
24/06/2014