Hospitality

Trouble

2014 (Fire, Merge)
alt-pop

"Le ragazze fanno grandi sogni", cantava Edoardo Bennato, spezzando quella convinzione tutta maschile di una subalternità dell’universo femminile, una regola che nemmeno il rivoluzionario mondo pop-rock è riuscito a modificare radicalmente. Amber Papini è una ragazza la cui consapevolezza è pari alla sua ambizione, un'autrice e polistrumentista dotata di una voce attraente e a volte impertinente: il suo sogno è quello di raccontare con brillanti canzoni il suo diventar donna, una messa a nudo dei dubbi e dei desideri che nel primo album era riuscita a vestire di melodie spumeggianti e briose che onoravano la migliore tradizione del twee-pop.

“Trouble” conferma il talento di compositrice della Papini, ma consolida anche il suono della band: la fragilità di alcune soluzioni sonore sono state abbandonate in virtù di tonalità più mature e corpose, le storie non hanno perso quella leggerezza e spensieratezza dell’esordio, ma dietro l’angolo spuntano riflessioni malinconiche e accorte, che nelle tracce finali “Sunship” e “Call Me After” rinunciano a qualsiasi abbellimento per affidare a voce, chitarra acustica e leggere nuance chamber-pop tutta la poesia che nel primo album era tenuta segreta.

Il riff di “Nightingale” a cui gli Hospitality affidano l’apertura dell’album è uno delle loro migliori creazioni: graffiante e abilmente sospeso tra rock, funky, grunge e pop, il brano mette in evidenza tutta la maturità raggiunta dal gruppo dopo il loro ultimo tour. Sembra quasi che i Garbage incontrino i Blondie e le Breeders nel trittico iniziale di “Trouble”: la ricca e complessa architettura della già citata “Nightingale“ stupisce ad ogni riascolto, le graffianti partiture di chitarra, l’incedere pulsante del basso e le incursioni di tastiere hanno una grinta inattesa, la stessa energia che trascina il funky-soul-disco di “Going Out” nella gloriosa tradizione dei Field Mice, e il twee-punk di “I Miss Your Bones” nell’olimpo delle canzoni da archiviare tra le cose da ricordare di questo giovane 2014.

Il gruppo degli Hospitality ha trovato la giusta chiave per ridonare al pop irriverenza e vigore, con sonorità più robuste e asciutte, che suonano come il frutto di una ricerca costante che traduca perfettamente le loro performance live. I riff si susseguono generosi e la più ricca e magniloquente cura dei suoni evita qualsiasi enfasi ornamentale, basti ascoltare lo splendido break di pochi secondi della spigolosa “Rockets And Jets” o il romanticismo intrigante di “Sullivan”, dove piano e chitarra dettano le linee melodiche senza mai portarle a temine, quasi per paura di rovinare quell’incanto e quella magica tensione emotiva che ti induce al riascolto ossessivo e indolente. È una dolcezza che sfiora la psichedelia senza mai perdere coscienza di trovarsi di fronte a un sogno o a una illusione.

Che poi Amber Papini trovi il tempo per rassicurarci che tutto è da non prendere troppo sul serio, nella ballad leggermente uptempo di “It’s Not  Serious”, o che si diverta con intrusioni electronic-soul in “Inauguration”, è solo un altro segnale della notevole caratura della sua scrittura: in meno di 40 minuti il gruppo riunisce in modo brillante passato, presente e futuro con un linguaggio pop che rinuncia all’estetica per una sferzata di energia che seduce senza inganno. La splendida e moderna cavalcata elettro-rock di “Last Words” archivia una quantità di emozioni enorme, l’assolo di chitarra si muove agile e sicuro tra frustate di synth e groove ossessivi, una proiezione verso un futuro che tra ombre e luci rappresenta la realtà che gli Hospitality vogliono affrontare a muso duro e senza compromessi.
“Trouble” è il trionfo dell’immaginazione sulla mediocrità: lasciatevi affascinare.

22/01/2014

Tracklist

  1. Nightingale
  2. Going Out
  3. I Miss Your Bones
  4. Inauguration
  5. Rockets and Jets
  6. Sullivan
  7. It’s Not Serious
  8. Last Words
  9. Sunship
  10. Call Me After

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