Jar Moff

On How To Lubricate Capital's Effect

2014 (Self-released)
sound-collage

Il 13 corrente mese, ai suoi seguaci su Twitter, Jar Moff ha fatto il regalo più bello dell'anno: un link su DropBox che permette di scaricare un archivio da 1,3 GB, poi trasferito su WeTransfer, contenente l'intera "Financial Trilogy" in formato Wav con tanto di copertine incluse per ciascun episodio. Quest'evento, almeno considerato così ancora da una "vasta minoranza", costringe non solo a un ripasso delle sue precedenti due uscite lunghe, ma anche a una parziale revisione del metodo di fruizione di queste: non più costrette nei limiti del formato vinile, "Commercial Mouth" e "Financial Glam" si riscoprono suite lunghe, dense, articolate e ininterrotte da quell'intervallo di cambio lato che rendeva obbligatoria la divisione in due metà, delle quali una intitolata apposta in grammelot grecofono.
L'arrivo dell'ultimo capitolo della trilogia, forte del titolo più emblematico e chiarificatore fra i tre, induce in ogni caso a un ripensamento non soltanto di approccio, ma di reale e fattiva metodologia. Alla volta dell'uscita della prima installazione, per quanto il contenuto, anarchico e imprendibile, tradisse una visione politica che lo stesso titolo poi esplicitava, l'oggetto in questione sotto ogni punto di vista sfuggiva a categorizzazioni di ogni tipo, tematiche o anche semplicemente stilistiche. “Financial Glam” pose, mesi dopo, una continuità di soggetto che a quel punto era impossibile ignorare, per quanto incanalata in un alveo espressivo sensibilmente diverso, dai margini ben più definibili. “On How To Lubricate Capital's Effect” arriva e non soltanto chiude il cerchio, senza appiattimenti o predilezioni di sorta, proponendosi come credibile (e convincente) sintesi dei due estremi, pur condividendo la matrice dark-ambient con l'episodio precedente e la ricchezza di spunti e campioni con “Commercial Mouth”. Anzi, se possibile questo approccio di mediazione porta a riflessioni ancor più acute e amare di quelle che, già devastanti per conto loro, avevano animato i primi due capitoli. Di certo, di rassicurare qualcuno al Nostro interessa ben poco.

È tanta l'indifferenza a ogni messaggio positivo (difficile d'altronde averne, di slancio e di fiducia, quando il tuo paese ha assaggiato la mannaia della crisi come nessun altro negli ultimi anni) che la mezz'ora di cui si compone la lunga “suite” non soltanto infila un'altra volta il coltello nella piaga, ma quasi ne teorizza una nuova modalità di inserzione, un metodo diverso per smuovere quel dolore e quel caos che solo in apparenza hanno trovato una forma con cui presentarsi. Mostruosa creatura in progressivo disfacimento, senza implicazioni emotive che ne frenino l'incedere, la (non-)composizione di Jar Moff macina, disintegra il concetto stesso di musica ambient, lo riplasma e lo sputa come ammasso di frattaglie meccaniche e scorie radioattive, macerie senza origine ed echi lontani di una musica che fu, di un criterio comunicativo oramai privato di ogni significato.
Questo ormai richiede la “prassi” (virgolette d'obbligo) dai tempi di “JMEPSP”, in cui, proprio come negli anni 80, tanti generi musicali venivano distrutti perché ne venissero creati altri, secondo metodi e strutture che la tecnologia del tempo rendeva più radicali che nel passato degli strumenti musicali più classici e ortodossi. Alla luce dei trascorsi degli ultimi dieci anni, in Europa ma soprattutto in Grecia, questo metodo di decostruzione, accompagnato dall'opportuna evoluzione tecnologica, si rivela fondamentale, perché probabilmente le cose sono cambiate in maniera e misura tali da renderne impossibile la comunicazione, ammesso che si possano comunicare, mediante l'uso dei canoni espressivi dei generi musicali vigenti.

Proprio come nei lavori precedenti, in cui esistevano un ritmo e una certa orecchiabilità nonostante i (relitti di) campioni agissero fuori sincrono su beat sporchi, talvolta sbilenchi, ma precisi, soprattutto nell'incipit di “Commercial Mouth” e in “JMEPSP”, che alla maniera sexy delle pubblicità per profumi ti fa tornare bambino e nemmeno sai com'è successo, in questo lavoro non si fa eccezione, nonostante le cose siano un po' facilitate, come in “Financial Glam”, dalla loro impostazione ambient, che potrebbe anche essere letta come un'allegoria, a suo modo. Se il beat, come anche il numero 4 applicato in musica, comunica spesso spensieratezza e allegria, è giusto pensare che venga comunicato sempre più l'opposto man mano che ci si allontana dal beat e dal concetto di ritmo, fuori dal quale l'ascoltatore è costretto a trovare un ordine quasi marziale all'interno di un flusso magmatico e contorto di eventi sonori.
Ben sapendo tutto ciò, Jar Moff ci mette al corrente di una situazione che non solo estende l'infelicità della propria natura dal piano finanziario a quello esistenziale, ma fa sì che questi due livelli agiscano l'uno sull'altro come in un 69 che però fa godere un esterno alla pratica. Perfino la copertina sembra dare molteplici e pesanti indizi a tal proposito, come se quelle punte di freccia provenissero da chissà quanto prima di Cristo apposta per ricordare all'ascoltatore che tenere a mente la propria storia è necessario. E che, proprio sulla storia, sul ricordo di questa, ma anche sul proprio passato personale e infine sul turismo è possibile fondare un'economia e che se non si vuole fare alcunché di questo, beh, forse non riusciremo mai a spostarci da quelle punte di freccia.

La storia condannata a ripetersi? Stasi? Devoluzione? Tutto può essere e non credo che sia necessario saperlo, se la condizione è doverlo vivere sulla propria pelle. Un avviso in (non-)musica che vale più di mille trattati.

29/11/2014

Tracklist

  1. On How To Lubricate Capital's Effect

Jar Moff sul web