Terminata definitivamente l'esperienza con le ormai dissolte Vivian Girls, la bella Katy "Kickball" Goodman rimette mano al progetto La Sera e pone la sua firma sull'ennesimo quadretto power-sunshine pop dal titolo “Hour Of The Dawn”, terzo capitolo della sua breve e onesta parabola lontana dalla sua band storica. L'album, è bene chiarirlo subito, viene preceduto da una significativa dichiarazione di intenti della giovane bassista newyorkese, che nelle interviste delle scorse settimane presentò le suddette dieci tracce come un incontro/scontro fra gli zuccherosi girl-group degli anni Cinquanta - citando espressamente la divina Lesley Gore di “It's My Party” - e l'irruenza incendiaria dei californiani Black Flag. A conti fatti, ed estendendo il giudizio all'intera sua produzione “sola e accompagnata”, l'esperimento riesce solo a metà.
Come da copione Katy cinguetta di amori finiti o mai iniziati, di romanticismi da serie televisiva e di sbronze tristi consumate alle feste del liceo, dimostrandosi ancora una volta scafata musa del summer-pop femminile a stelle e strisce al pari di Best Coast, Dum Dum Girls e compagnia (molto) bella. Piccoli acquerelli musicali orecchiabili e innocenti nel loro incedere furbescamente “sporco”, retromania e ritornelli catchy come se piovesse, linee melodiche semplici e senza grosse pretese; dell'urgenza hardcore dei "pirati di Hermosa Beach", a parer nostro, neanche l'ombra.
Eppure le premesse garage e surf-punk di “Losing In The Dark” sembravano aprire la porta a un nuovo approccio, più sanguigno e rockeggiante rispetto ai lavori precedenti. Sembrava, appunto; il power-pop di “Running Wild” e “All My Love Is For You”, la ballad in odore Babyshambles con tanto di coretti “sha-la-la” di “Summer Of Love” e le smithsiane “Fall In Place” e “10 Headed Goat Wizard” ci confermano quello che già sapevamo della Goodman e dei suoi compagni d'avventura del passato e del presente. In una frase: buona la forma, spesso troppo poco consistente la sostanza.
Il talento ci sarebbe anche: la morbida nostalgia di “Control”, ipnotica e affascinante come la voce della sua protagonista, è lì a dimostrarlo. C'è del buono anche anche quando il sole se ne va e il mare si increspa pericolosamente, come nella conclusiva “Storm's End”, che ha il solo difetto di sfumare troppo presto e sul più bello.
E così “Hour Of The Dawn” (l'album, ma anche la canzone) scivola via leggero e frizzante senza tuttavia lasciare realmente il segno, consegnandoci una band tirata a lucido eppure ancora impreparata per il definitivo salto di qualità.
25/05/2014