Il ligure Fulvio Guidarelli (originario di Savona, per la precisione) ebbe un suo breve momento di gloria agli albori degli anni Ottanta, sulla scia dell'allora nascente minimal-synth di derivazione romantica, avendo recepito alla perfezione la lezione impartita da artisti come John Foxx, Visage e, ancor prima, dai soliti Kraftwerk di "The Man Machine" (Capitol, 1978) e dagli esperimenti rock elettronici di Brian Eno.
Adottando lo pseudonimo Lisfrank, il buon Guidarelli diede alle stampe un Ep autoprodotto, "Man Mask", uscito per la Mask Production nel 1982 e che è rimasto come un piccolo gioiellino di quella corrente, magari poco originale, ma al passo con i tempi. La label tedesca Anna Logue (la stessa che ha ristampato l'opera omnia dei Poeme Electronique) offrì a Guidarelli di pubblicare, nel 2009, "Mask Rewind", un'antologia definitiva di tutto ciò che lui produsse come Lisfrank proprio in quegli anni d'oro. Ora è la volta dell'italiana Final Muzik di Gianfranco Santoro che, alla fine del 2014, pubblica finalmente il primo e vero album di Lisfrank, a ben trentadue anni da quel discreto Ep d'esordio.
La confezione, diciamolo subito, è assai curata. Solo 500 esemplari editi nel solo formato in vinile, che è di un bel rosso porpora. L'incisione anche è molto buona e Lisfrank si destreggia, come al solito, tra vocals, tastiere, computer e batterie elettroniche. Il problema è che Guidarelli pare non essersi accorto che non viviamo più nel 1982 e che la scena elettronica attuale è profondamente cambiata. Oggi ripropone, grosso modo, le stesse cose che faceva trent'anni fa, solo con un piglio meno dark. I fan di questi suoni sintetici applicati alla new wave troveranno comunque pane per i loro denti. Gli altri non si aspettino chissà quali innovazioni, e la monotonia regna sovrana (gli sbadigli sono assicurati).
Marce teutoniche come "Resurrection", tediose nenie in stile Human League come "Alternative Way" ed esempi di soffice Ebm come "Those Nights" e "Minimal People" (i D.A.F. in versione diluita), sono episodi che hanno poco da comunicare. La voce monocorde di Guidarelli, poi, non aiuta di certo a risollevarne le sorti. Il synth-pop di derivazione post-industriale alla Chris & Cosey della title track è l'unico momento felice di tutto l'album. La gran parte del disco propone una musica irrimediabilmente datata. Un vero peccato, ma bisogna pure tener conto che far rivivere il proprio passato è un'impresa assai difficile (c'è riuscito Aphex Twin con il recente "Syro", ma si tratta di uno dei pochi casi isolati).
16/02/2015