Marsen Jules

At GRM

2014 (Oktaf)
ambient
6.5

Due settimane. Tanto è stato il tempo trascorso da Martin Juhls presso gli studi del Groupe De Recherches Musicales, ancora ubicati nella sede di Radio France a Parigi, nell'inverno del 2009. Due settimane in cui il musicista tedesco ha letteralmente vissuto in quei laboratori, dove alcuni fra i più importanti chimici del suono del Dopoguerra hanno coniato gli embrioni di buona parte della musica contemporanea. Una “residenza” durante la quale entrare in contatto con persone e strumenti che hanno scritto i loro nomi su pagine e pagine di storia della musica, e il cui peso ereditario non è forse a tutt'oggi ancora del tutto quantificabile.

Durante questi quindici giorni, l'uomo che si fa chiamare Marsen Jules è riuscito a trovare il tempo di cimentarsi in una serie di registrazioni eseguite interamente con le meraviglie analogiche collezionate negli ambienti del Grm. E ci sono voluti ben cinque anni perché i frutti di quelle session venissero alla luce, cinque anni in cui il Nostro ha preferito dedicarsi ad evolvere la sua ricerca sulla process generation e a sviluppare scientificamente le molteplici forme della sua ambient music. Proprio mentre l'amico Taylor Deupree metteva mano con cura minuziosa ai nastri di quello che sarebbe diventato “At GRM”.

Non sorprende, insomma, che le due suite da venti minuti scarsi ciascuno che compongono il disco suonino in totale contrapposizione con l'equilibrio emotivo di “Nostalgia” e l'impianto formalizzato di “Beautyfear”. Qui siamo di fronte al trionfo della sostanza pura, che si palesa in una massa sonora oscura e monolitica le cui dimensioni tendono a nascondere le molte sfumature delle sue parti. Jules resta fedele a sé stesso, non si fa prendere dalla tentazione retrograda di suonare con le macchine del Grm la musica del Grm, ma si limita a riprodurvi il suo soundworld, senza però procedere in direzione di alcuna ricerca scientifica.

La prima metà mira dunque al cosmo, all'oscurità dello spazio aperto e alle impercettibili luci delle galassie circostanti osservate da lontano. L'approccio diretto di Jules tende ad avvicinarlo qui come mai prima ai soundscape di Steve Roach, quasi un ritorno a delle origini spesso supposte ma mai dichiarate. Nella seconda metà il buio si dirada, ma la luce che lo spezza è fioca, pallida, solcata qua e la da qualche scintilla occasionale: il territorio solcato qui è quello su cui Kevin Braheny ha costruito una carriera “illuminando” il cosmo, fotografando le stelle cadenti e le luci riflesse dei pianeti.

Più che con il Grm dove le composizioni sono nate, il suono di questo Marsen Jules (paradossalmente tutto cuore e niente metodo, benché ospite di quello che è uno dei più grandi laboratori di scienza musicale e del suono) sembra legarlo semmai allo space ambient dei corrieri californiani. È a conti fatti un calco, di ottima fattura ma un po' troppo referenziale per un fuoriclasse come lui. Anziché sfruttare le attrezzature del Grm razionalmente per implementare la sua ricerca, Juhls ha preferito lasciarsi trasportare dall'entusiasmo. Per qualcuno potrà aver perso un'occasione, ma la sua è una scelta in ogni caso coraggiosa.

05/11/2014

Tracklist

  1. Part I
  2. Part II

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