La relatività rimane quell'ultimo contenuto morale che più scompiglia e scombussola: ciò che è buono per qualcuno può non esserlo per un altro, alla stessa maniera in cui si valuta un numero che rappresenta un giudizio, il voto: utile, suntivo, relativo. Questo "Holly" - sophomore del talentuoso chitarrista californiano Nick Waterhouse, passato dalla nostre parti nel maggio dello scorso anno per ricordare quanto sia rinfrescante tuffarsi nei Cinquanta - è testimone di questa relatività: un bel disco, con un fascino differente da "Time's All Gone" - primo lavoro di Waterhouse datato 2012 - e portatore di un giudizio soggettivo, uguale ma diverso.
Nick Waterhouse impiega tutto il sé compositivo mostrandosi come un alchimista che gioca con la pozione da due ingredienti imprescindibili, l'r'n'b e il soul, e però chimicamente in grado di miscelarsi con elementi variegati: l'africa percussione ("Sleeping Pills"), le onde "melodrammatiche" di Orange County, CA ("It No. 3", cover di Ty Segall) e i beat sessantottini ("Ain't There Something That Money Can't Buy").
Un disco più "suonato" e meno "cantato" dove le peculiarità fanno schioccare i palati dei più raffinati, con i tratti swing ("Well It's Fine") e le improvvisazioni cool-jazz (meravigliosa "Dead Room"), piccoli passaggi illuminanti accompagnati dalla chitarra del losangelino che non dimentica il passato ("High Tiding", "This Is A Game"), provando anzi un lavoro di rifinitura che trova massimo pregio in "Holly", dai fiati partigiani, e con i neri americani (Otis Redding), e con gli anglo-messicani (Calexico), negli intermezzi che conquistano in questa breve ma intensa performance.
Abbigliato come un Buddy Holly cresciuto negli anni di Rivers Cuomo, Nick Waterhouse e la sua Innovative Leisure si riconfermano anche in questo secondo lavoro. Relativamente parlando, certo.
11/03/2014