Nicola Ratti

Ossario vol. I-II

2014 (Holiday)
electro, process-generated
5.5

Già chitarrista dei Ronin e comparsa illustre in qualche progetto esterno (tra cui “Super Human” di Quasiviri), il milanese Nicola Ratti sviluppa una carriera in proprio dapprima con il suo strumento, passando da semplici divagazioni post-rock (“Prontuario per giovani foglie”, 2006), a lunghe e catalettiche improvvisazioni Tim Buckley-iane (“Saltwater”, 2008), ad ancor più avventurose pièce per chitarra e campionamenti (“Esope”, 2009), oltre a collaborazioni con Giuseppe Ielasi (“Bellows”, 2007) e con Attila Faravelli a nome Faravelliratti (“Lieu”, 2010).

Ratti si è poi ritagliato una porzione d’avanguardia con esperimenti di musica “discreta” che espandono il Franco Battiato de “L’Egitto prima delle sabbie” e il Giusto Pio di “Motore immobile” (“Ode”, 2009), col rumore aleatorio (“Cathode Deafness”, 2012), con organiche trasformazioni elettroacustiche di loop e spazi ambientali (“220 Tones”, 2011, forse il suo più personale e riuscito in assoluto) e con studi di percussioni trovate (“Streengs”, 2012). Il tutto è inframezzato poi da nuove collaborazioni di spicco e installazioni multimediali.

Il nuovo “Ossario”, dal forte accento sul ritmo, sembra proprio una versione avveniristica di “Streengs”, una dance elettronicamente generata e indi manipolata: le vibrazioni gravi e pulsazioni irregolari di “Local”, il pattern ritmico un po’ ondulatorio e un po’ robotico di “Abel”, il disgiunto downtempo di “1015”, il fervore folk-tribale incastonato in oscillazioni e rifrazioni astratte di “Halle”.
Fa meglio la seconda parte, con la quasi-suite formata da “Tu” e “Joy”, dapprima aliena e dissonante con rigurgiti techno-trance, quindi ancor più inquietante con un uso quasi onirico dei campioni parlati, e con gli accordi melodici filtrati e soffocati in lontananza di “Luv”, sovrapposti a uno studio di musica aleatoria cacofonica.

Tecnicamente è il plenum delle sue ambizioni elettroniche. Risultato di due 12” usciti a breve distanza, e terzo capitolo di un’ideale trilogia iniziata con “220 Tones”; al meglio suona come un Plastikman ancor più essenziale, scuro e fratturato, e ha un elemento affascinante: i rimbombi nel vuoto. E’ però il più debole dei tre, eccessivo è l’affidamento alle tecniche automatiche del digitale, troppo asettica l’atmosfera che ne deriva, nonostante qualche vaghissimo spunto melodico riesca a percolare tra i frastuoni.

31/07/2014

Tracklist

  1. Local
  2. Abel
  3. Halle
  4. 1015
  5. Roth
  6. Tu
  7. Joy
  8. Luv
  9. 1016
  10. Blossom 


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