Un album come “Sir Ollife Leigh And Other Ghosts” ci pone tutti di fronte a una riflessione sulla fruizione e l’importanza della musica nei tempi correnti, e ci stimola ad abbandonare per un attimo le discussioni su chi sia l’erede dei Beatles o degli Stones.
L’onnivorismo da rapidshare e mediafire, e il conseguente atteggiamento disfattista del “niente di nuovo sotto il sole”, spostano costantemente l’attenzione verso il fenomeno più che sulla sostanza. Basta! Ritorniamo a quella splendida e sordida illusione che ci faceva sperare nella nuova era, alla piacevole sensazione di stupore che anche un tranquillo e poco ambizioso set di canzoni riusciva a provocarci.
Sia ben chiaro che nel primo album in cui Oliver Cherer rinuncia al moniker Dollboy, non troverete altro che folk spirituale, dove le emozioni sono denudate da orpelli e melodie convenzionali, tra dulcimer, cimbalom, balalaika e antichi organi restaurati che fanno oscillare i loro suoni su impercettibili e ben dosati effluvi elettronici.
A dar man forte all’autore nel suo progetto di folk ancestrale e leggermente psichedelico ci sono al flauto Riz Maslen (Neotropic), ai fiati Alistair Strachan (Crayola Lectern) e alla viola e al banjo Jack Hayter (Hefner), ma la vera sorpresa è nell’eclettismo di Oliver Cherer, un perfetto polistrumentista alle prese con mandola, violino, arpa, dulcimer e un antico mandolino tedesco chiamato zither, oltre al consueto campionario di piano e tastiere.
Etereo e spirituale, “Sir Ollife Leigh And Other Ghosts” è un affresco delicato di ritualità pagane e spettrali racconti gotici, tra accattivanti pagine regali (“The Mentmore Waltz”), epica medievale (“Croham Hurst”) e seducenti pagine di folk bucolico (“Ladybird, Ladybird”).
La musica di Oliver Cherer suona come un’evoluzione avantgarde della Incredible String Band, come è evidente nelle due pagine più tradizionali di folk pastorale “Maryon Park” e “Asphyxiation”, o un nuovo idioma pagano tinto di dark esoterico (la quasi pinkfloydiana “When We Shut Down” e i due cappelletti di “The Dead” e “The Dead Return”).
La fragilità di quella che può essere considerata l’unica canzone pop dell’album, ovvero “Consider Darkness”, è lo specchio della realtà sonora di Oliver Cherer, un altro eccellente antropologo musicale di quella nuova coscienza pagana che sta restaurando il valore poetico e simbolico della musica folk, sulle orme di Sam Lee, Mary Hampton, Arch Garrison e il più incline alla psichedelia Crayola Lectern. Imperdibile.
P.S. La prima tiratura contiene un bonus album con 7 tracce, dal titolo "A Millying & Mor".
03/08/2014
A Millying & Mor