Peggy Sue

Choir Of Echoes

2014 (Wichita)
alt-pop, post-folk

Non soltanto chamber-folk e dintorni da quel di Brighton: a dimostrazione di quanto la scena della celebre località balneare britannica possieda una ricchezza a dir poco invidiabile, seconda soltanto a pochissimi centri creativi di maggior spicco, tanti sono i musicisti e le band che ogni anno rimpinzano le fila di un grandioso battaglione artistico, uno scenario in pienissimo fermento. Già fattisi notare in passato con una doppietta di dischi che li palesava come gruppo dalla marcata impronta folk, per quanto già avviata alle più svariate contaminazioni, per i Peggy Sue adesso è il momento della verità. Stabilmente accasatisi alla Wichita, con una solida intesa a tre che vede Rosa Slade e Katy Young ripartirsi tra voce, chitarre e percussioni, e Olly Joyce alla batteria, la band ha mostrato, uscita dopo uscita, di potere (e volere) ambire a conquistarsi il proprio spazio, di avere le credenziali per sfuggire a pastoie e cliché, di qualsiasi natura e origine essi siano. Al varco del terzo full-length, il processo di modellamento e perfezionamento giunge al suo primo, importante traguardo: è da qui le cose cominciano a farsi realmente interessanti.

Con le acrobazie folk dei primi dischi ad essere state riassorbite quasi del tutto, preservandone soltanto un alone a malapena avvertibile, un sentore a collante dei vari pezzi, “Choir Of Echoes” è lavoro che vede letteralmente deflagrare l'ambizione del combo, nei termini di una scrittura articolata ma sorprendentemente istintiva, e di un'accresciuta capacità di composizione, rifinita sotto ogni aspetto. In più occasioni, si sfiora addirittura l'eccellenza: con un campionario stilistico che adesso manovra con accortezza influssi wave, tessiture rock e finezze pop, il gruppo asseconda di volta in volta un aspetto diverso della propria sapiente mistura sonora, senza mai perdere in efficacia.

Mentre il singolo di lancio “Idle” gode di una robusta sezione ritmica sotto a una linea melodica che avvicina la band alle ultime prove delle Smoke Fairies (richiamo ancora più tangibile nei girotondi interpretativi di “Esme” e “Substitute”), bassi profondi e suggestioni dreamy (rafforzate dalla perfetta intesa vocale della Slade e della Young) trasfigurano i retaggi Eighties di partenza in un bizzarro gioco di specchi, dal trasporto velatamente psichedelico. E se non mancano episodi più decisi, che mirano all'obiettivo senza troppi indugi (“How Heavy The Quiet....”, l'unico diretto testimone dei trascorsi “idilliaci” della formazione, il soul-blues di “Longest Day Of The Year Blues”, con quello charme sofisticato che tanto sarebbe piaciuto a Mary Epworth), non di meno i tre calano gli assi migliori proprio quando imboccano sentieri più tortuosi, scavando fino in fondo alle proprie potenzialità.

Con intelaiature percussive votate a un formidabile spirito d'adattamento, quando e dove ve ne sia esigenza, brani quali “Electric Light” (ottimo il crescendo ad accompagnamento del refrain) o la sgusciante “Figure Of Eight”, forse il capolavoro dell'album, i Peggy Sue escogitano infatti un approccio al cantautorato del tutto personale, volto a perseguire traiettorie completamente slegate da ogni facile attinenza. Mica facile, in un'epoca sovente affamata di stantie rielaborazioni vintage, astrarsi così tanto da ogni desiderio di appartenenza.
Con un maggior labor limae i ragazzi di Brighton diranno la loro con ancor migliore incisività. Le fondamenta sono già state gettate, in ogni caso.

27/01/2014

Tracklist

  1. (Come Back Around)
  2. Esme
  3. Substitute
  4. Figure Of Eight
  5. Always Going
  6. Just The Night
  7. How Heavy The Quiet That Grew Between Your Mouth And Mine
  8. Electric Light
  9. Longest Days Of The Year Blues
  10. Idle
  11. And Always Is
  12. Two Shots
  13. The Errors Of Your Ways


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