Usnea

Random Cosmic Violence

2014 (Relapse)
death-doom-metal, sludge-doom-metal

È stato sufficiente semplicemente un disco di “rodaggio“, una pubblicazione sotto l'ala di un'etichetta dal basso profilo, per far sì che la “gavetta“ degli Usnea arrivasse alla sua conclusione così com'era cominciata, e una label di maggior peso si assumesse la responsabilità di chiamarli a sé, come nuove reclute di una schiera sempre in cerca di nuovi virgulti da arruolare. Se la casa discografica in questione porta poi il nome di Relapse, in un modo o nell'altro sai di aver fatto centro, qualsiasi cosa questo centro possa significare per te. Per i quattro doomster da Portland, indubbiamente l'occasione offerta loro dalla storica etichetta heavy vale un salto, in termini di visibilità e parametri d'incisione, che ha dell'impressionante, e che allo stesso tempo mette in mostra quantomeno la peculiarità di una proposta che nell'attuale panorama pesante non passa propriamente inosservata.

Con tutto che le band affiliate al vasto sottogenere funeral-doom-metal non hanno spesso dato sfoggio di grande capacità (re)inventiva, per quanto il filone di appartenenza in realtà di occasioni ne abbia fornite non poche, gli Usnea, con le loro ibridazioni death e sludge, con le accelerazioni e le ripartenze, con le costruzioni mai eccessivamente tirate per le lunghe, in uno scenario dominato da investigazioni post-black e ritorni a tradizionalismi più o meno esibiti, hanno comunque la possibilità di dire la loro, di mettersi in mostra con un suono non particolarmente originale, ma diverso quanto basta per non soccombere nel mare magnum delle proposte metalliche che giungono senza sosta da ogni parte del mondo.
Di certo, questo “Random Cosmic Violence”, con copertina che sfida in larga misura i cliché grafici del genere, ha chiarissimo in mente questo concetto, e non si prodiga in alcun modo ad accontentare palati poco avvezzi alle lente modulazioni doom, quantunque imbastardite da ricche parentesi che tengono il lavoro distante da un pericoloso purismo d'intenti. C'è da dire che quantomeno la pervicacia della band nel proporsi, almeno al primo disco realmente importante, lontana da denaturazioni o stravolgimenti privi di significato le fa davvero onore: ben pochi avrebbero interpretato una simile opportunità come biglietto da visita, più che come occasione di alzare il tiro della produzione e gonfiare il sound all'inverosimile, senza reali motivazioni alla base. In questa fiera attestazione d'indipendenza creativa si annida però anche il limite intrinseco all'operazione stessa, quella che specialmente per chi li segue dal capitolo precedente renderà probabilmente l'ascolto se non indigesto, quantomeno più faticoso del previsto.

Composto anch'esso di quattro lunghi movimenti (ma stavolta corredati ciascuno di un lato di vinile), “Random Cosmic Violence” è infatti lavoro che appiattisce la resa del quartetto a una ripetizione senza nerbo dei codici e degli stilemi dell'opera prima, cadendo nella trappola di una prevedibilità, nei meccanismi di passaggio ma anche nella stessa stesura dei brani, che non lascia semplicemente scampo. Tutto è come lo si aspetta sin dall'inizio, certe trame avventurose che riuscivano a imprimere interessanti sterzate alla claustrofobica cupezza del debutto qui semplicemente non sussistono, prese in contropiede da risaputi giochetti acustico/elettrici (l'apertura della title track), nette staffilate verticali piazzate senza grande creatività (tutta la seconda metà di “Healing Through Death”), assalti sonici che non condividono nemmeno un briciolo dei quella violenza tanto decantata nel titolo, un pizzico di follia che avrebbe in qualche modo scombinato le carte in gioco.
Niente a che vedere, insomma, con la titanica e dirompente eversività degli Indian, men che meno con i limpidi cambi d'atmosfera degli ultimi straordinari Esoteric: a dettar legge è un minimo denominatore comune che proprio non sa fornire nuove letture a un'esperienza, per quanto ampiamente di genere, soltanto un anno fa dotata di tutt'altro rilievo e freschezza. Come colti da una sorta di timore reverenziale nel passaggio alla Relapse, gli Usnea sembrano insomma aver smarrito, si spera temporaneamente, lo smalto e la personalità. A questo punto non soltanto si augura loro, come in calce alla precedente recensione, di trovare la motivazione a migliorarsi ulteriormente, ma soprattutto di non perdere di vista quelle piccole-grandi sottigliezze, espressive quanto compositive, che avevano costituito la differenza. Cadere una volta per tutte nel baratro dell'anonimato è tutt'altro che difficile.

15/01/2015

Tracklist

  1. Lying In Ruin
  2. Healing Through Death
  3. Random Cosmic Violence
  4. Detritus

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