Valery Gore

Idols In The Dark Heart

2014 (Self Released)
alternative songwriting

La prima tentazione, durante l’ascolto del terzo album della canadese Valery Gore, è quella di liquidare “Idols In The Dark Heart” come un progetto sulla scia delle intuizioni di nuove muse del rock al femminile come St. Vincent o Feist, ma un’analisi così frettolosa soffre di approssimazione.
Non è un delitto notare somiglianze stilistiche o timbriche tra due artisti, purché si tenga ben presente il percorso creativo e culturale, al fine di scoprire che le differenze sono maggiori delle similitudini. Mentre le due musiciste sopracitate esplorano le infinite soluzioni dell’avanguardia al servizio della popular music, la Gore amplia semplicemente lo spettro della contaminazione tra jazz e pop-rock, concetrando l’attenzione sulla composizione obliqua e sull’imprevedibilità dell’ibridazione non-casuale di elettronica e rock canonico.

In verità è un bel sentire in entrambi i casi, e per chi ha già apprezzato le gesta delle nuove eroine del rock contemporaneo è ora di aggiungere “Idols In The Dark Heart” al calendario degli ascolti obbligati. In undici esemplari vivaci, dove l’ingegno combacia con la godibilità fisica dell’insieme, la voce flessibile e ricca di pathos (a volte emula di Suzanne Vega) ricama senza eccessivi orpelli su armonie raffinate figlie delle tentazioni jazz dei precedenti album.
L’artista canadese modella polvere di synth-pop alla maniera di Jane Siberry o Julia Holter, dando forma alle illusioni sognanti della splendida “Lungs”, o mette a frutto la struttura compositiva del jazz per triturare riff e melodie cristaline e maliziose per la fisicità alternata e coinvolgente di “Chinooch”.

Quello che rende ancor più godibile “Idols In The Dark Heart” è l’onestà artistica di Valery Gore, che non indugia sulle intuizioni liriche dell’album al fine di renderle più accattivanti: valga come esempio la complessa architettura pianistica della intensa “New Year's Eve”, ricca di elaborazioni liriche che potrebbero suonare altresì narcolettiche, e che l’autrice trasforma in un affresco virtuale di emozioni appena accennate. Allo stesso modo le nuance etniche di “Hummingbird In Reverse” non hanno i contorni della alterigia intellettuale ma di una spiritualità sonora che è stregata da differenti prospettive musicali (in questo caso i ritmi della cultura asiatica).

Con queste prerogative non resta che abbracciare con piacere le esternazioni più comunicative, come “Amsterdam” o la maestosa enfasi di “Clean Break”, e conservare per le giornate più uggiose piccoli stralci di poesia come “Character Girls, Quiet Guys” (che non sfigurerebbe in un album di Tori Amos) o il minimalismo inconsueto di “Evergreen”.
Quello che rende ancor più interessante il terzo album di Valery Gore è la piacevole sensazione di profondità e spessore che accompagna l’evoluzione dell’album, al punto che alla fine del percorso si ha la sensazione di aver esplorato un’infinità di sensazoni liriche e sonore talmente complesse e variegate da annullare tutte le perplessità iniziali. “Idols In The Dark Heart” è una vittoria della creatività sulla prevedibilità, un album che raccoglie non solo cinque anni di ricerca sonora ma anche il disperato tentativo dell’artista di trovare un’etichetta disposta a distribuirlo.
Bentornata, Valery.

07/11/2014

Tracklist

  1. With The Future
  2. Chinook
  3. Amsterdam
  4. Character Girls, Quiet Guys
  5. Evergreen
  6. July
  7. New Year's Eve
  8. Clean Break
  9. Lungs
  10. Hummingbird In Reverse
  11. S.O.




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