Una cassetta venduta solo durante i loro tour si trasforma nel primo progetto discografico per il gruppo canadese dei Viet Cong: la Mexican Summer offre così la possibilità al quartetto di allargare il loro pubblico con la pubblicazione in vinile di “Cassette”.
Sette brani che pescano nel miglior immaginario post-punk possibile, chitarre lucide e taglienti come i Television, ritmiche nervose alla Talking Heads, pop da garage band farcito di morbide incursioni di synth e una flebile sferzata d’energia adatta a rendere più energico e stimolante l’evidente lirismo.
Con queste premesse si può erroneamente pensare che i Viet Cong siano l’ennesima formazione rock citazionista e revivalista. “Cassette” è invece un album singolare: la band, pur partendo dalle coordinate post-punk, non ignora altri percorsi stilistici, coinvolgendo elementi di folk-pop psichedelico ed echi glam che vanno dai Mott The Hoople ai primi Pulp.
Fresco e rigenerante, il disco dei quattro canadesi mette in mostra una personalità forte e lucida che riesce a tenere saldi i vari elementi stilistici, con canzoni che non suonano mai banali o raffazzonate.
È naturale che ad aprire le danze sia “Throw It Away”, una delle melodie più convincenti del lotto, ma anche un perfetto mix di vecchio e nuovo che sembra essere l’elemento distintivo della band, con riff affillati e melodie solari che in “Oxygen Feed” trovano un terreno ancor più grezzo e originale. In verità nulla nell’album ha la stessa forza devastante e corrosiva di “Structureless Design”, un brano dall’indole furiosa reso docile da una produzione volutamente lo-fi abbondante di synth e drum machine, che sfibrano l’indole pop del brano trascinandolo verso fluidi post-punk quasi dark, e non è un caso che nella nuova edizione di “Cassette” sia stata aggiunta la cover version di “Dark Entries” dei Bauhaus proprio a ridosso del succitato brano.
Constatando la presenza di una scrittura lirica molto accattivante alla Feelies (“Unconscious Melody”), nonché di una dovizia tecnica e creativa capace di sfrondare i limiti del genere (si ascoltino le evoluzioni ritmiche e armoniche della conclusiva “Select Your Drone”), si segnala almeno un brano da aggiungere a una playlist di fine anno, ovvero la tenebrosa e psichedelica escursione folk-pop di “Static Wall”.
Non resta che attendere i Viet Cong al prossimo passo discografico, convinti che sapranno trasformare ancora una volta qualcosa di ordinario in qualcosa di personale e creativo – e quel breve strappo elettronico posto alla fine del disco come ghost-track annuncia nuove avventurose sfide per la band canadese.
10/09/2014