Young Magic

Breathing Statues

2014 (Carpark)
electro-psych

Oggetto di un culto minore nell'ultimo biennio, in gran parte dovuto al campionamento di “You With Air” da parte dei Purity Ring per il loro album d'esordio sbanca-critica “Shrines”, dopo un estenuante tour che li ha portati a promuovere il debutto “Melt” in giro per quattro diversi continenti, gli Young Magic sono arrivati al momento di presentare la seconda raccolta di materiale inedito, dalla genesi nuovamente eterogenea e stratificata. Coinciso con la dipartita di Michael Italia dalla formazione, e con i soli Isaac Emmanuel e Melati Malay a gestire l'intera baracca, il duo, di stanza a Brooklyn ma dalle origini totalmente opposte nella longitudine (indonesiana lei, australiano lui), riprende il filo del discorso da dove era stato interrotto e con “Breathing Statues” prosegue sulla scia di una psichedelia liquida, consapevole nella sua flemma sorniona, ricca negli intarsi “world” e non dimentica di una qual certa allure pop.

A ben guardare, trattasi di roba contemplata nel raggio d'azione dei più grandi neo-psichedelici statunitensi degli ultimi anni, gli Yeasayer. E l'impressione che il duo un po' ne abbia ricalcato le orme, anche quando a incrociare i propri destini erano in tre, lo insegue sin dagli albori, da quando l'annuncio di un primo album non era nemmeno nell'aria. A differenza però del gruppo di “Odd Blood”, la propensione per un melodismo più definito nelle fogge, per una forma-canzone salda sulle proprie gambe, viene quasi del tutto sacrificata, svuotata del suo impatto comunicativo, per uno stile che invece enfatizza le intelaiature sonore, prima di ogni altra cosa. Uno stile che, in occasione di questo sophomore, fallisce su tutta la linea: se in “Melt” perlomeno i due bei singoli riuscivano ad arginare il tedio con un'interessante piega interpretativa e arrangiamenti dosati con cura, qui la minima forma di autocontrollo viene totalmente depennata, in virtù di un flusso sonoro lasciato ormai padrone di se stesso, in balia dei capricci del momento.

Passati oltre i primi secondi introduttivi di “One”, tripudio di tastiere angeliche a costruire una sorta di palcoscenico d'ambiente per il disco, si attacca dunque con un saggio di psichedelia vintage nei girotondi Sixties di “Fall In”, prima che le nebbie del passato cedano il passo a una più compunta contemporaneità electro, il leitmotiv sonoro della collezione. Battute ora rade, ora maggiormente cadenzate, non aliene anche a qualche vaga spruzzata hip-hop (“Something In The Water”), in simbiosi con ordinari trucchetti sintetici nelle intenzioni ricolmi di carica suggestiva, accompagnano infatti nei suoi sommessi racconti la voce della Malay, spesso un sibilo lontano nello spazio, incapace di dare la benché minima personalità ai brani che interpreta.

Slavata, scevra di qualsivoglia impeto emotivo (che fosse anche un delicato trasporto nei meandri dell'estasi), la raccolta finisce insomma per risultare un'anonima risma di inoffensivi bozzetti buoni al più come sfumato sottofondo d'ambiente, e nulla più. Difficile addirittura pescare un momento in negativo, nel complesso, al netto di un'omogeneità da tappezzeria che appiattisce ogni fremito in una brodaglia indefinita di apatiche vibrazioni elettroniche e carinerie simil-oniriche di poco conto. La loro sarà anche una “magia giovane”, ma se al secondo disco ha mostrato tutta l'inconsistenza dei suoi incantesimi, andrà poco lontano...

16/06/2014

Tracklist

  1. One
  2. Fall In
  3. Foxglove
  4. Something In The Water
  5. Ageless
  6. Cobra
  7. Holographic
  8. Mythnomer
  9. Waiting For The Ground To Open
  10. Captcha

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